Michele Tiraboschi non ha dubbi: “Oggi riusciamo ad avere qualche occupato in più perché si allunga la permanenza nel mercato del lavoro”, frutto della riforma Fornero. “La situazione è complessa e non si supera con incentivi economici buttati al vento”, spiega il presidente di Adapt, il centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi.
Professore, dal suo punto di vista cosa dicono questi dati?
Che il mercato del lavoro è fermo. I pochi occupati in più sono Over 50 poiché la riforma Fornero ha aumentato l’età pensionabile e ciò sta dando un effetto nel computo complessivo degli occupati. In pratica se prima entravo nel gruppo degli inattivi – perché pensionato – prima dei 65 anni e questo portava il numero degli occupati a rimanere più basso, oggi riusciamo ad avere qualche occupato in più perché si allunga la permanenza nel mercato. Ma questo non significa che vi sia una crescita in atto. D’altronde, basta vedere il tasso di occupazione italiano inchiodato ancora al 57,3% per capire come il numero di persone che oggi lavora sia assolutamente inferiore a quello di un’economia matura.
Malgrado il Jobs Act, l’occupazione giovanile resta una piaga per il governo. Perché?
Le cause sono molte. In primo luogo, l’economia che stenta a ripartire e quindi, come detto, il mercato del lavoro beneficia principalmente dell’aumento dell’età pensionabile. Secondo: i nuovi occupati dell’ultimo anno sono specialmente coloro che hanno beneficiato degli sgravi fiscali e le imprese hanno preferito investire in lavoratori che già avevano assunto con altri contratti o lavoratori con anni di esperienza. Terzo motivo, e più importante, oggi c’è una sostanziale distanza tra il mercato del lavoro e la formazione, che porta scuole e università a produrre giovani con competenze che spesso non servono.
Qual è stato l’errore più grande commesso dall’esecutivo?
Il non aver colto che il lavoro sta cambiando, e parecchio. La scelta di costruire la riforma del lavoro solo sulla struttura dei contratti di lavoro, oltretutto inseguendo l’utopia di ricondurli tutti a quello subordinato a tempo indeterminato, appare miope davanti a un nuovo mercato che è tutto tranne che statico. Lo dimostra il fatto che il capitolo sulle politiche attive, vero fulcro di un mercato moderno, è ancora al palo.
Anche “Garanzia Giovani” è stata un fallimento.
È una delle dimostrazioni che le politiche attive in Italia, salvo qualche eccezione positiva, sono ancora ampiamente sconosciute. Si sono offerti ai giovani iscritti decine di migliaia di tirocini che poco o nulla hanno a che fare con la dimensione formativa e di accompagnamento verso il mercato del lavoro che questo strumento dovrebbe avere.
Quale consiglio si sente di dare al premier Renzi e al ministro Poletti?
Non ho la presunzione di dare consigli a un ministro e al presidente del Consiglio. Semmai segnalo come lo storytelling della “svolta buona” rischia di rivelarsi un grosso boomerang perché la gente comune continua a soffrire sul mercato del lavoro: o perchè è senza occupazione o perchè rischia di perdere il posto di lavoro. Un po’ più di sano realismo e di conoscenza delle difficoltà reali delle persone comuni aiuterebbe anche a comprendere che, al di là degli slogan, la situazione è complessa e non si supera a colpi di decreti o con incentivi economici buttati al vento.
La riforma delle pensioni allo studio del Governo darà una scossa?
Non credo che fare deficit per spingere le persone ad uscire dal mercato del lavoro possa essere la soluzione oggi. Certamente ci sono casi particolari di lavori usuranti che vanno presi in considerazione, ma mi auguro che davvero non ci si illuda che, in un momento di enormi cambiamenti soprattutto tecnologici, l’uscita di un anziano dal mercato del lavoro consista automaticamente in nuovi giovani assunti.
Twitter: @GiorgioVelardi