Non bastavano i grassi finanziamenti dei Paesi membri. Ora anche l’ Unione europea, per la prima volta nella storia, è sul punto di inserire, a partire dal bilancio 2017, un capitolo di spesa per finanziare la ricerca militare. In altre parole, anche i soldi pubblici di Bruxelles saranno utilizzati per comprare armi e lavorare su tecnologie militari. Un paradosso spaventoso, se si pensa che l’ Unione Europea nasce proprio per assicurare la pace, sulla spinta emotiva del dopo-guerra.
AMICI DELLE ARMI – Eppure i fatti dicono esattamente questo. Il progetto, nel silenzio generale dei media (specie italiani) è più che avviato. Tutto nasce quando la Commissione europea, guidata da Jean-Claude Juncker, decide di creare un piccolo team che lavori sul punto e sulla necessità (o meno) di predisporre un finanziamento per la ricerca armata. Domanda più che curiosa: chi entra nel Preparatory Action on Defence research (questo il nome del team)? Ma, ovviamente, i signori delle lobby armate. Dei 16 membri complessivi, come denunciato in un report realizzato dall’Enaat (European Network Against Arms Trade) e di cui LaNotizia è venuta in possesso, ben 9 fanno capo a importanti aziende belliche. Chi, ad esempio? Mauro Moretti, amministratore delegato di Finmeccanica. Ma non è l’unico. Perché nel gruppo di ricerca sono entrati anche i numeri uno delle più importanti aziende militari europee, da Tom Enders della Airbus Group (leader nel settore aerospaziale) a Fernando Abril-Martorell della Indra (che si occupa di veicoli militari), da Ian King della Bae, azienda britannica che ha investito, per dire, con Finmeccanica nella costruzione degli F-35, fino a Håkan Buskhe della svedese Saab. Domanda da un milione di dollari: a quale conclusione sarà mai giunto questo gruppo di lavoro? All’esigenza, come detto, che Bruxelles attui misure per finanziare la ricerca militare, of course.
SOLDI INSAGUINATI – E arriviamo, allora, alla proposta. Secondo quanto denunciato dalle associazioni pacifiste, nel cui network c’è anche l’italiana Rete per il Disarmo, la proposta sul tavolo è di partire, dal 2017, con un fondo da 25 milioni di euro. Ma l’obiettivo è arrivare a un fondo molto più corposo: 3,5 miliardi di euro. Che verranno, dulcis in fundo, sottratti alla ricerca. “Questo si tradurrà necessariamente in tagli drastici a scapito di altre priorità di spesa, dal momento che un aumento in un’area significa un taglio in un’altra”, ci dice Francesco Vignarca della Rete per il Disarmo.
E questa è la ragione per cui le associazioni hanno lanciato una petizione che finora ha raccolto oltre 57mila firme per impedire “l’inclusione della ricerca per l’industria bellica nel nuovo budget dell’Ue”. Petizione indirizzata ai parlamentari europei, che mercoledì dovranno pronunciarsi sulla proposta di Commissione e gruppo di ricerca “armato”. Vedremo come andrà a finire. In futuro c’è il futuro militare (o meno) dell’ Unione europea.
Tw: @CarmineGazzanni