Tra promesse mancate e scommesse non vinte, fin qui il bilancio di Matteo Renzi non può certo essere definito esaltante. Dal rilancio dell’economia al pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione, passando per il risanamento dell’Ilva, sono tanti gli annunci del premier rimasti sulla carta. E questo perché la gran parte delle scommesse sottese a ciascuna di queste operazioni alla fine è naufragata. Ma se proprio bisogna individuare una scommessa vinta da parte del presidente del consiglio, allora paradossalmente bisogna andare a Roma. Sì, proprio nella Capitale in cui il Pd sulla carta ha subìto una cocente sconfitta, con il candidato Roberto Giachetti “asfaltato” dalla grillina Virginia Raggi.
IL NODO
La pentastellata, però, come dimostrano con dovizia di particolari la cronache di questi primi 90 giorni di “governo” capitolino, si sta rivelando un mezzo flop. Nessuna decisione strategica presa, una giunta che ha ancora caselle fondamentali scoperte, piano sui rifiuti che stenta a decollare, disboscamento delle partecipate che ancora non vede una pur timida luce, posizione sulle Olimpiadi che è a dir poco oscillante. Insomma, per ora la Raggi non sembra averne indovinata nemmeno una. Per carità, il disastro degli anni passati e il tempo a disposizione consentono alla prima cittadina romana di rifarsi. Ma per ora a Roma la vera scommessa vinta è quella di Renzi. Il quale, secondo quanto previsto all’epoca anche da numerosi osservatori, potrebbe aver avanzato la debole candidatura di Giachetti perché perfettamente consapevole che a Roma il vento grillino avrebbe travolto tutto e tutti. Ma avrebbe anche lasciato macerie di possibile inconcludenza e incapacità di governo. Quella stessa inconcludenza pronosticata da Renzi, in effetti, adesso si sta verificando. La scommessa del premier, allora, per il momento è vinta, nei limiti in cui aveva lo scopo di dimostrare che i grillini sanno attaccare, sanno capitalizzare il consenso degli scontenti, sanno vincere le elezioni con percentuali altissime, ma poi alla fine della fiera non sanno governare. Questo, nell’ottica del presidente del consiglio, dovrebbe un domani riconsegnare lo scettro elettorale al Pd.
LA VARIABILE
Per carità, se il filo di questo ragionamento può farsi seguire, e se effettivamente di scommessa momentaneamente vinta si può parlare, non si può non mettere a fuoco che si tratta di una miniscommessa. O di una scommessa di retroguardia. Che può fruttare un dividendo politico domani, ma che oggi non può che far riflettere su un Pd che comunque è stato ridotto ai minimi termini da un Movimento, quello dei pentastellati, al quale gli stessi romani hanno deciso di dare il voto nella speranza, più che nella convinzione, che potesse effettivamente ribaltare il corso di una storia capitolina che con gli ultimi sindaci ha vissuto momenti a dir poco oscuri. Del resto anche il Pd a Roma, in attesa di prendersi una rivincita che comunque è tutta da agguantare, non se la passa molto bene. Il partito non sembra ancora avere una figura in grado di risollevarne le sorti. La realtà è che il Pd a Roma ancora non si sta riorientando, mentre i grandi vincitori del Movimento 5 Stelle sembrano essere finiti in un qualcosa di troppo più grande di loro. In mezzo, ahimé, ci sono i cittadini romani, quelli che aspettano la metro C, trasporti pubblici decorosi e puntuali, un piano rifiuti che ridia un minimo di immagine alla città, un colpo d’ascia sulla giungla di società partecipate che succhiano soldi come idrovore affamate senza restituirne una minima parte alla collettività. Un’attesa che dura da troppo tempo.