Due notizie, a distanza di pochi giorni, hanno indignato l’opinione pubblica. Anche quella italiana, sempre attenta quando c’è da indignarsi dinanzi alla guerra. E così è per la guerra che ormai da circa un anno e mezzo la coalizione saudita conduce in Yemen. Una guerra mai autorizzata dalle organizzazioni internazionali e che sta mietendo un numero clamoroso di vittime, spesso anche bambini. Ma torniamo all’attualità. Solo tre giorni fa un ospedale di Medici senza frontiere nello Yemen settentrionale è stato colpito in un bombardamento, causando la morte di 11 persone (oltre a circa venti feriti). Due giorni prima, invece, a finire sotto gli attacchi aerei della coalizione saudita era stata una scuola per alunni dagli otto ai 15 anni. In quel caso il bilancio era stato di 10 bambini morti e 28 feriti.
Indignazione, sdegno, pianto. Peccato che, come detto, questa guerra vada avanti da circa un anno e mezzo e si è lasciata alle spalle, stando all’ultimo aggiornamento Onu (ora senz’altro abbondantemente superato) oltre 6.400 morti metà dei quali civili e 30mila feriti; più di 2 milioni e 800mila sfollati su una popolazione di 26 milioni di abitanti. Tra questi 785 bambini morti, 1.168 feriti, circa 320mila malnutriti.
COLPEVOLI – Ma a questo punto si dirà: e cosa c’entra l’Italia? Purtroppo, c’entra. E tanto. Come La Notizia ha già denunciato in più occasioni, le bombe che l’Arabia Saudita getta anche sulla popolazione yemenita, sono bombe fabbricate in Italia. E nonostante negli ultimi mesi si siano susseguite diverse denunce a riguardo, ogni qualvolta tonnellate di bombe fabbricate nell’azienda tedesca RWM Italia di Domusnovas (Cagliari) venivano imbarcate all’aeroporto di Cagliari Elmas, nulla è stato fatto. Mentre infatti dal Governo nessuno ha mai proferito parola, ha provato a muoversi il Parlamento europeo, che il 27 febbraio scorso ha adottato una risoluzione sullo Yemen affinché si ponga fine alla guerra in corso, con un esplicito emendamento (votato da 359 parlamentari con 212 voti contrari) che richiama la necessità di fermare il flusso di armi. Sarà servito a qualcosa?
Niente affatto, dato che a fine giugno le spedizioni di bombe aeree dall’Italia all’Arabia Saudita sono riprese. E con numeri spaventosi. Basta d’altronde riprendere il registro del commercio estero dell’Istat per appurare dati e numeri: 123 quintali (Kg. 122.835) di “armi e munizioni” – ma di fatto sono bombe – per un valore di oltre 4,6 milioni di euro sono state inviate nel mese di marzo (dunque dopo la risoluzione Ue) all’Arabia Saudita dalla provincia di Cagliari. Insomma, nulla è cambiato, nemmeno dopo la risoluzione europea.
LEGGE INAPPLICATA – Eppure la legge 185/90 parlerebbe (condizionale d’obbligo) chiaro, dato che si precisa che “l’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato” in contrasto con le direttive Onu, “verso i Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione”, verso i Paesi “responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. Esattamente come nel caso della coalizione saudita. Ma intanto continuano a piovere bombe. E noi continuiamo ad indignarci.