Forse è la prima volta che François Hollande dice una cosa sensata da parecchi mesi a questa parte: la Francia è in guerra. Certo, il presidente dovrebbe anche ammettere un altro fatto: il suo Paese sta riportando una serie inquietante di sconfitte. Perché se l’attacco a Rouen, in cui è stato sgozzato un sacerdote, era difficile da evitare, a Nizza è andato in onda il festival dell’impreparazione. Lo ha svelato il quotidiano Libération, squarciando il velo di ipocrisia del clima di unità nazionale che vieta ogni critica. Finendo per favorire proprio i terroristi, abili a sfruttare le maglie larghe della sicurezza.
Ma la guerra di cui parla Hollande è anche la nostra. Dell’Occidente e quindi anche dell’Italia. Perché è un conflitto quotidiano dai contorni indefiniti. Anche noi giornalisti finiamo nella trappola di non capire quando si tratta di una strage della follia, come a Monaco di Baviera venerdì scorso, o quando alle spalle c’è l’ispirazione – anche solo ideologia – del terrorismo islamico, che ha trovato nel nero dell’Isis la sua bandiera. È una guerra di un terrorismo composto da piccoli pezzi. Schegge che partono e uccidono. Alla cieca.