Ora indietro non si torna più. Come volevano le attese, Donald Trump è ufficialmente il candidato alla presidenza degli Stati Uniti per i repubblicani. Con il “roll call” iniziato alle ore 17.30 locali, cioè l’appello in ordine alfabetico Stato per Stato, le delegazioni presenti a Cleveland hanno votato la nomination.
Aldilà delle varie polemiche e delle “strumpalate”, c’è da sottolineare un dato: Trump ha raggiunto un traguardo impensabile 13 mesi fa quando annunciò la propria candidatura. “È un momento irreale”, ha commentato a caldo suo figlio Donald Junior. Davvero irreale: un affarista controverso, più uomo di spettacolo che imprenditore, dal passato democratico, convertitosi al partito repubblicano solo di recente, ha sbaragliato 16 concorrenti e si è impadronito del Grand Old Party. A sancire la resa dell’establishment, non a caso, sul palco c’erano anche i leader repubblicani di Camera e Senato, Paul Ryan e Mitch McConnell.
La giornata, perlatro, si era aperta sotto auspici peggiori. All’insegna di due scandali, uno più fragoroso, l’altro forse più gravido di conseguenze. Il primo: la scoperta che il discorso fatto alla vigilia da Melania Trump aveva scopiazzato interi passaggi da quello di Michelle Obama nel 2008. Un plagio bello e buono, insomma.
L’altro scandalo, forse più serio, rischia di decapitare la Fox News. Il potentissimo Roger Ailes, chief executive della tv di Rupert Murdoch, canale di riferimento per il popolo di destra, dovrà andarsene per le accuse di molestie sessuali di diverse anchorwomen tra cui la celeberrima Megyn Kelly.
The Donald intanto si gode la meritata vittoria. Come se la godono tutti i suoi estimatori. A cominciare dal governatore del New Jersey, Chris Christie, anche lui ieri presente. Personaggio controverso, politico aggressivo e spesso eccessivo, Christie è uno straordinario oratore. Lo ha confermato ieri sera, con un discorso che è, finora, l’attacco più duro e radicale a Hillary Clinton. Il governatore ha elencato tutti i motivi perché la Clinton non deve diventare presidente degli Stati Uniti e a ogni punto della “lista” ha chiesto alla folla di partecipare con un “guilty”. In un crescendo di urla, slogan, anche insulti contro la candidata democratica che è sfociato nel boato liberatorio finale.