Da Ankara lo scontro ora si sposta direttamente alla Nato. Perché ora l’appartenenza della Turchia all’Alleanza Atlantica potrebbe essere pesantemente a rischio. A dirlo ieri, secondo una ricostruzione del Washngton Post, è stato il segretario di Stato americano, John Kerry. A quattro giorni dal fallito colpo di Stato della notte di venerdì, dunque, continuano le tensioni tra la Turchia e l’Occidente. Un clima di scontro cominciato sulla rotta Ankara – Washington sulla questione dell’estradizione di Fethullah Gülen – l’imam e magnate in esilio negli Usa accusato di essere lo stratega del fallito golpe e di cui Ankara ha chiesto l’estradizione – poi amplificato dalle purghe e dagli arresti ordinati dal presidente Recep Tayyip Erdogan dopo il fallimento del colpo di Stato, e quindi definitivamente esploso con il ritorno della pena di morte in Turchia evocata dallo stesso “Sultano”.
PURGHE TURCHE – Nel giro di due giorni, infatti, ben 7.850 agenti di polizia sono stati sospesi dai loro compiti e costretti a riconsegnare armi e distintivi. Perché l’ostracismo ha colpito anche 30 degli 81 prefetti che lavorano nel Paese, più 47 governatori di distretti provinciali e 614 gendarmi: in totale dunque sono 8.777 i dipendenti del ministero dell’Interno che sono stati sollevati dall’incarico. Insomma, sembra quasi un eufemismo parlare di repulisti, dato che già nel day after del putsch, era stato ordinato l’arresto di tremila militari, considerati autori del colpo di Stato, e il fermo di 2.745 magistrati, già rimossi dai loro incarichi perché ritenuti fedeli a Fethullah Gülen. Il conto totale degli arrestati è a dir poco impressionante: fino a questo momento le persone finite in cella sono 7.543. Almeno seimila sono militari. Adesso, però, la purga di Erdogan colpisce anche la polizia, e cioè la forza di sicurezza che nella notte del fallito colpo di Stato sembrava essere quella più fedele al presidente. Decine le immagini diffuse dalle tv turche in cui agenti di polizia arrestano militari golpisti, mettendo fine al tentato colpo di Stato. Ma non basta. Perché a quanto pare le epurazioni di Erdogan stanno ora colpendo anche i vertici dell’esercito. Tra gli arrestati delle ultime ore spiccano 103 tra ammiragli e generali e due giudici della corte costituzionale. Tra costoro, anche il consigliere militare del presidente Erdogan, colonnello Ali Yazici, il comandante della Seconda Armata, generale Adem Huduti, il comandante della Terza Armata, Erdal Ozturk, l’ex comandante della forza aerea, Akin Ozturk, ritenuto il leader dei golpisti, e il comandante della base aerea Nato di Incirlik, generale Bekir Ercan.
A tutto questo va aggiunta la nuova regolamentazione che vieta l’espatrio ai dipendenti pubblici, con alcune eccezioni per alcuni passaporti speciali, che necessiteranno comunque della previa approvazione dell’istituzione presso cui si lavora. Secondo alcune stime il provvedimento riguarderebbe il 5% della popolazione turca. A tre milioni di dipendenti statali, intanto, sono state sospese le ferie con un decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
GUERRA CIVILE – Il clima, dunque, è quello da guerra civile con rastrellamenti continui. Basti questo: tra Ankara e Istanbul una ventina di portali di notizie e siti web è stata messa al bando, mentre circa 1.800 agenti delle forze speciali di polizia sono arrivati di rinforzo dalle province, per pattugliare le due città principali del Paese. Il capo della polizia di Istanbul, Mustafa Caliskan, ha avuto l’ordine di abbattere qualsiasi elicottero in volo senza autorizzazione sopra la città. Il presidente Erdogan, invece, ha ordinato ai caccia F 16 dell’esercito di sorvolare continuamente i centri urbani della Turchia: come se la minaccia del golpe non fosse ancora esaurita. Ma ciò che spaventa, ora, è la possibilità, ventilata da Erdogani, del ricordo alla pena di morte verso i “traditori”. Una soluzione cui ovviamente si è opposta tutta la comunità internazionale, ma che pare non spaventare almeno per ora Erdogan.