di Stefano Sansonetti
A parole è tutto molto semplice. Nella pratica, però, una delle promesse fatte in campagna elettorale da Virginia Raggi, nuovo sindaco grillino della Capitale, rischia di sciogliersi come neve al sole. Si tratta della rinegoziazione dei mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti per far fronte all’enorme debito pregresso del Campidoglio, ovvero quello ante 2008 lasciato in eredità soprattutto da Walter Veltroni. In base agli ultimi aggiornamenti, come ricordato anche in campagna elettorale, si tratta di circa 12 miliardi di euro. Partiamo da un dato fissato dalla legge che i pentastellati, così come tutti gli altri ex canditati alla poltrona di primo cittadino, sembrano non aver tenuto in considerazione: il sindaco non ha un potere reale di ricontrattare i mutui in questione. E perché?
IL DETTAGLIO – Il motivo sta nel fatto che il debito ante 2008 è in mano alla cosiddetta “gestione commissariale”, un organismo di nomina governativa che è del tutto separato dal Campidoglio. Il Comune rimane formalmente debitore, ma la gestione pratica del rientro è in mano a un organo dello Stato. Ragion per cui non si capisce a che titolo la Raggi abbia chiesto un audit sul vecchio debito. E’ come se il sindaco facesse l’audit allo Stato. Ad ogni modo è il Commissario straordinario al debito, oggi Silvia Scozzese, in precedenza Massimo Varazzani, ad avere in mano il pallino delle operazioni. Detto questo passiamo al secondo ostacolo, introdotto da una domanda: con il sindaco di fatto fuori causa, il Commissario sarebbe in grado di rinegoziare senza problemi i mutui con la Cassa Depositi e le altre banche? Neanche per sogno. In primis ci vorrebbe una norma ad hoc per costringere la Cassa Depositi e Prestiti e rivedere le condizioni del prestito per il solo caso di Roma. Una norma che, va da sé, sarebbe politicamente quasi impossibile da gestire. Come giustificare una rinegoziazione per il solo vecchio debito di Roma e non per gli altri enti locali? Del resto la Cassa, che gestisce il risparmio postale degli italiani, deve anche pensare ai sui conti. Che verrebbero sfasciati se tutte le amministrazioni locali chiedessero di rivedere le condizioni dei vari prestiti. Corre voce che qualche settimana fa, prima dell’esito delle elezioni, il senatore Andrea Augello (già An, poi Pdl, poi Nuovo Centrodestra e ora di Identità e Azione), molto forte a Roma, avesse sondato con altri parlamentari la possibilità di una norma per consentire alla Cassa di ricontrattare le condizioni di mutuo con le sole città più indebitate d’Italia (poco più di una decina). Un ibrido che dimostra una volta di più la complessità della situazione. E veniamo al terzo punto. Sarebbe possibile rinegoziare almeno i mutui con le altre banche? Teoricamente sì, ma bisognerebbe pagare salatissime penali, viste le coperture di cui gli istituti di credito si sono nel frattempo dovute munire.
DULCIS IN FUNDO – Infine si arriva al quarto ostacolo, anch’esso scomparso dai ragionamenti grillini. Si vuole dimenticare che vecchi (e nuovi) mutui sono assistiti da delegazioni di pagamento. Vuol dire che se non vengono pagate le rate, le banche possono togliersi i guanti di velluto e andare direttamente a prendersi i soldi nella tesoreria comunale. Insomma, i margini d’azione della Raggi sono minimi. Il tutto mentre il debito pregresso continua a costare agli italiani 500 milioni l’anno: 300 in termini di tasse che vengono pagate dalla Val Pusteria alla Valle dei Templi; 200 a carico dei soli romani in termini di super addizionali Irpef e tasse aeroportuali. La Raggi, in cuor suo, vorrebbe appuntarsi sulla giacchetta l’eliminazione di questi 200 milioni. Ma a quel punto chi metterebbe i soldi?