Inutile affidarsi ai sondaggi. Quelli inglesi poi, con tutte le cantonate che hanno collezionato, sono del tutto inaffidabili. L’aria che tira non è però delle più salubri per Bruxelles. Gli inglesi messi al bivio tra i vincoli europei e l’immigrazione da una parte, e i rischi di una possibile frenata dell’economia dall’altra, sembrano più intenzionati a risolvere un problema certo piuttosto che uno incerto. Il Paese più cosmopolita del vecchio continente si sente invaso. Perciò l’esito del referendum sulla Brexit (cioè l’uscita dall’Unione europea) è assolutamente incerto. Un’incognita che sta costando cara ai mercati finanziari, da giorni presi di mira da forti vendite. Secondo alcune previsioni – e non e peggiori – l’uscita della City dal sistema Ue potrebbe dar scendere fino al 25% la capitalizzazione delle piazze finanziarie di tutta Europa. Perciò da qui al 23 giugno sui listini di sicuro si balla. Ma qual è la posta in gioco e perché la Gran Bretagna è arrivata a questo punto?
IL NODO MMIGRAZIONE – La partita si gioca tutta sull’immigrazione. Ogni anno sul suolo inglese arrivano trecentomila persone in più, per due terzi dall’Unione europea. Cittadini ai quali non si può sbarrare il passo e che vengono avvertiti dai sudditi di sua maestà come un pericolo per il loro lavoro, la sanità e il welfare. In realtà le cose non stanno così, perché questi lavoratori portano un’enorme quantità di benefici (dal mercato degli affitti alle tasse versate). Tutto questo però non basta e soprattutto il partito populista dell’Ukip, guidato da Nigel Farage, ha cavalcato questa difesa del territorio. Una strada elettoralmente conveniente, sulla quale il premier conservatore David Cameron si è in un primo tempo accodato, ma solo per non perdere consensi. Di qui la concessione del referendum, al quale Cameron sperava di presentarsi con l’asso nella manica delle concessioni pro-Gran Bretagna strappate a Bruxelles. Concessioni molto sofferte dai partner europei e che si stanno rivelando una carta non necessariamente vincente. E adesso la Brexit può disarcionare chi ha voluto giocare una posta così alta. In caso di vittoria degli euroscettici Cameron ha già detto che non si dimetterà, ma di fatto questo sarebbe l’inizio della sua fine, magari con l’epilogo del passaggio di testimone alla guida del Governo al compagno di partito ed ex sindaco di Londra Boris Johnson. Tutta questa partita tiene col fiato sospeso anche migliaia di italiani. Dal nostro Paese arriva il maggior numero di aspiranti lavoratori europei, dopo Romania e Polonia. Su questi immigrati pesa già la contropartita concessa dall’Europa, e cioé l’esonero da qualunque aiuto statale nei primi quattro anni di permanenza in Gran Bretagna. Un bel taglio del welfare e un incentivo a tornarsene in patria. Basti pensare che gli italiani che negli ultimi quattro anni hanno preso il National Insurance Number – l’equivalente britannico del codice fiscale – necessario per lavorare e per poter beneficiare delle prestazioni del welfare, sono sono stati più di 165 mila (+67% rispetto a giugno 2014).