Alla fine anche Matteo Renzi ha dovuto arrendersi: le elezioni comunali sono un test molto significativo. Anzi di più: sono uno tsunami politico, dopo il quale nulla sarà come prima. Da sinistra a destra, passando per il Movimento 5 Stelle. E così il presidente del Consiglio, un po’ a malincuore, ci ha messo la faccia anche se solo negli ultimi giorni di campagna elettorale. Nella speranza che dalle urne non arrivi una bastonata che possa dare respiro agli oppositori esterni, e ancora di più a quelli interni al Partito democratico. Perché i leader della minoranza Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza sono già pronti a presentare il conto. A cominciare dagli equilibri interni al Pd – con la nuova segreteria – per finire alla richiesta di modifica dell’Italicum. Una legge elettorale che si fonda sul ballottaggio, che spesso finisce per avvantaggiare gli avversari del Pd. Infine, Renzi si è convinto di un altro dato politico: il successo alle elezioni amministrative sarebbe il viatico ideale per il referendum sulle riforme di ottobre, il suo grande cruccio, nonché la partita su cui ha puntato tutto.
Frankenstein lepenista
Sul versante del centrodestra il voto del 5 giugno era da tempo in cima alla lista delle priorità. Per un doppio motivo: la certificazione di morte dell’alleanza così come è stata negli ultimi venti anni; e l’operazione per approdare un progetto nuovo, sullo scia di Marine Le Pen in Francia, con Matteo Salvini nel ruolo di regista. Un partito-Frankenstein metà secessionista, come insegna la tradizione della Lega, e metà nazionalista, per non tradire il verbo della destra di Fratelli d’Italia. Ma qualsiasi ambizione di un centrodestra in salsa lepenista passa per un buon risultato di Giorgia Meloni, spalla necessaria al leader della Lega. L’ipotesi migliore è ovviamente il raggiungimento del ballottaggio per provare a prendersi il Campidoglio. Tuttavia basterebbe anche un terzo posto, davanti all’altro candidato di centrodestra Alfio Marchini, con un consenso superiore al 20%. A quel punto Salvini sarebbe pronto a dare il colpo di grazia alla leadership di Silvio Berlusconi, che proprio a Roma potrebbe alzare definitivamente bandiera bianca. E per il leader leghista si aprirebbe una fase inedita con la possibile sponda al M5S nei ballottaggi pur di sconfiggere il nemico Renzi. Non è un mistero che Salvini tiferebbe 5 Stelle per il Campidoglio, in caso di eliminazione della Meloni, ma anche a Torino ed eventualmente a Bologna. Una sorta di alleanza tattica anti-sistema per le amministrative, verso cui – in apparenza – Beppe Grillo e i suoi restano tiepidi. Perché il Frankenstein politico non è proprio nel dna degli elettori grillini.
Marcia su Roma dei 5 Stelle
Al di là del discorso-Salvini, per il Movimento 5 Stelle il voto di domenica è un esame di maturità. Le elezioni di Roma assomigliano per la verità a una sentenza politica: Virginia Raggi si presenta nei panni della favorita. Un’eventuale sconfitta sarebbe un cataclisma per i pentastellati, che stanno affrontando la fase di rinnovamento dopo la morte di Gianroberto Casaleggio. La missione è quindi quella di battere gli avversari nella Capitale. E del resto proprio la conquista del Campidoglio potrebbe dare un senso alle comunali 2016: nelle altre principali città, fatta eccezione per Torino (dove Chiara Appendino è lo spauracchio di Piero Fassino), il M5S potrebbe non raggiungere il secondo turno. Il bilancio sarebbe spaventoso alla conclusione di una tornata elettorale tanto attesa. Uno tsunami, ma nel senso contrario a quello immaginato.