Se ne sono andati alla spicciolata, in silenzio come sono arrivati, e senza fare alcuna polemica. Ma il loro addio rappresenta un piccolo fallimento per l’intelligence italiana. Nelle ultime settimane, una decina di ragazzi plurilaureati e di belle speranze hanno lasciato l’Aise, il servizio segreto estero, perché delusi dall’ambiente ingessato, burocratico, scarsamente meritocratico dov’erano finiti. Il loro arrivo a Forte Braschi era stato sbandierato come un forte segno di discontinuità e rinnovamento in un mondo dove si entra per cooptazione e raccomandazione politica. Ma dopo un anno scarso, la rivoluzione sembra già fallita.
IMMAGINE – Negli ultimi tre anni, i servizi avevano avviato una campagna di reclutamento nelle università italiane utilizzando anche la rete dei docenti che collaborano con loro, incaricati di segnalare i giovani più brillanti in materie come l’informatica, la finanza, la politica internazionale, le tecnologie “dual use” (usi civili e militari). Molto gradita, ovviamente, la conoscenza di lingue come l’arabo, il cinese e il russo. Poi è arrivato il governo Renzi, quello della rottamazione, e il sottosegretario di Palazzo Chigi con delega ai servizi d’informazione, Marco Minniti, ha dato un’accelerata all’ingresso di forze fresche da ambiti che non fossero i soliti, ovvero le forze di polizia e l’esercito. A maggio dello scorso anno, Minniti annunciò che negli 007 era finita “l’era dei raccomandati”, ossia dei militari e dei poliziotti (non tutti) che passano ai servizi segreti attirati dal raddoppio dello stipendio e facendo leva sull’appoggio del politico di turno al quale magari hanno fatto la scorta. “Abbiamo fatto una piccola rivoluzione copernicana”, disse Minniti, con l’assunzione “di 30 giovani delle università italiane che hanno fatto domanda ed entreranno a far parte delle Agenzie”. In realtà, nell’ultimo biennio sono entrati anche altri ragazzi più grandi, in massima parte presi da aziende private.
DELUSIONE – I nuovi arrivi sono stati formati per mesi a Forte Braschi sui temi della sicurezza nazionale e delle minacce esterne, oltre all’ovvio inquadramento di tipo “militare”. Lo stipendio d’ingresso è inferiore ai 2.500 euro, ma le promesse erano di una fulgida carriera e di un ambiente “dinamico”. La realtà pare sia stata diversa. Chi se n’è andato racconta di una struttura che ha guardato ai nuovi arrivi come corpi estranei, sottoposta a tagli continui e con la prospettiva di rimanere tutti funzionari a vita, senza diventare dirigenti. In più, la guerra per cordate che da sempre avvelena Forte Braschi ha finito per disamorare le “reclute”. Il risultato è che quelli con il curriculum migliore sono andati a lavorare in multinazionali o in start up innovative. E a poco è valsa, nei giorni scorsi, una riunione “motivazionale” di questi ragazzi con Alberto Manenti, il capo dell’Aise, molto preoccupato e sorpreso dai primi addii.