Una piccola miniera d’oro. Anzi di rame, visto il metallo con cui sono realizzate. Le monete da uno e due centesimi costano infatti 21 milioni all’anno al bilancio pubblico. Il doppio di quel che valgono. E dall’introduzione dell’euro (2002) la spesa totale ammonta a poco meno di 180 milioni di euro. Sì, proprio così: gli spiccetti che ci ritroviamo in tasca, e che non sono accettati nemmeno dai distributori automatici di biglietterie e dai parcometri, hanno un prezzo salato per la Zecca dello Stato. E il Governo, nonostante un voto parlamentare che obbligava alla fine del conio delle monetine, continua a non impegnarsi adeguatmente in sede europea per sollevare la questione.
Battaglia in Aula
La battaglia è aperta da tempo. Già a maggio del 2014 è stata approvata una mozione, firmata dal deputato del Partito democratico (che all’epoca era in Sel) Sergio Boccadutri, che obbligava il “Governo ad assumere iniziative a livello nazionale ed europeo, perché vengano attuate politiche di contenimento della spesa, esaminando l’opportunità di introdurre misure finalizzate a ridurre in maniera significativa la domanda di monete da uno e due centesimi analogamente a quanto avvenuto in altri Stati membri dell’Unione europea” dopo un’apposita “valutazione dell’impatto sull’inflazione”. Da allora, però, sono trascorsi due anni e dall’Esecutivo nessuno ha spiegato quale sia l’esito della ricognizione avviata. Il deputato del Pd non si è arreso e ha depositato un’interrogazione parlamentare per conoscere lo stato dell’arte. L’obiettivo è di evitare una spesa ritenuta superflua: già durante il dibattito sulla mozione aveva ricordato che oltre ai costi di produzione – 21 milioni di euro solo nel 2013 – ci sono le spese “stoccaggio, di trasporto e di distribuzione, che alla fine gravano su tutti i cittadini, attraverso, il sistema bancario o il sistema della grande distribuzione”.
Occhio al prezzo
Eppure il governo potrebbe fornire un parere negativo sfruttando la motivazione della crescita dei prezzi: lo stop alla “stampa” dei tagli di euro più piccoli potrebbe avere una ricaduta sui consumatori. Che in alcuni casi può raggiungere i 25 euro al mese per una famiglia. Non proprio spicci. Le associazioni dei consumatori sono scese da tempo sul piede di guerra. “Siamo contrarissimi all’eliminazione delle monete da uno e due centesimi. A pagare sarebbero sempre i consumatori”, dice a La Notizia Rosario Trefiletti, presidente di Fedeconsumatori. La ragione? “Già immaginiamo gli arrotondamenti al rialzo. Diciamo la verità: si sono mai visti ritocchi al ribasso?”, spiega Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef. Comunque vada, il rischio è quello che paghino le famiglie. “Per noi è un bene l’addio alle banconote da 500 euro – incalza Trefiletti – perché diventavano strumento per pratiche di evasione. Ma bisogna salvaguardare le monete più piccole”. Un’argomentazione che d’altra paere non convince Boccadutri: “Solo nella grande distribuzione le monetine sono utilizzate come resto, ma alla grande distribuzione organizzata gestire un rotolo da 50 monetine da un centesimo costa 40. Un costo che evidentemente, alla fine, ricade sui consumatori”.