Un danno da 150mila euro, provocato dall’assunzione di un funzionario privo della laurea necessaria per la posizione ricoperta. A quantificarlo è stata la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna, condannando gli ex vertici della Provincia di Parma, in carica nei mandati con presidente Vincenzo Bernazzoli, tra 2005 e 2014. In Trentino non va meglio. Qui i magistrati contabili hanno presentato un altro conto salato, da 100mila euro, all’ex presidente dell’Autostrada del Brennero Silvano Grisenti, per i danni arrecati a Regione, Provincia e Comune di Trento. E, come se non bastasse, ora un’ultima batosta potrebbe toccare anche a Roberto Formigoni, dopo che Maroni ha presentato un esposto proprio alla Corte dei Conti, chiedendo un risarcimento di ben cinque milioni e seicentomila euro alla Regione di cui fu il signore incontrastato. Sono, questi, soltanto alcuni degli ultimi episodi che rivelano un dato incontrovertibile: da Nord a Sud, da sinistra a destra, amministratori e politici sovente cadono in condanne, se non penali perlomeno contabili, tanto da essere costretti a risarcire l’amministrazione pubblica danneggiata. D’altronde anche se guardiamo ai mesi scorsi, di condanne che hanno toccato altri big della politica italiana, ne abbiamo a valanghe. Dal sottosegretario Vito De Filippo, costretto a risarcire la Regione Basilicata per la vicenda rimborsopoli, fino al fresco di condanna Renato Soru, per il quale i magistrati contabili hanno stabilito che dovrà versare nelle casse della Regione Sardegna oltre 330mila euro per il salvataggio di una società.
SOLO POCHI SPICCIOLI – E così scopriamo che nell’ultimo quinquennio (2011-2015) le varie sezioni regionali hanno emesso condanne di risarcimento per 646 milioni di euro. Già questo lascia intendere come e quanto i politici di ogni colore politico abbiano danneggiato le amministrazioni in cui hanno lavorato. Ma attenzione. Perché il punto è soprattutto un altro. Come denunciato in un’interrogazione presentata proprio in questi giorni da Andrea Vallascas (M5S), di questi 646 sono rientrati soltanto una parte. Si penserà: perlomeno l’80%. Acqua. La metà? Magari. Soltanto il 33%. In soldoni: 213 milioni. E – paradosso dei paradossi – ci è andata anche bene, scrive il pentastellato: il dato, infatti, “sarebbe in controtendenza rispetto al tasso di riscossione storico, che si attesterebbe tra il 15 e il 20%”, mentre la crescita al 33% sarebbe un dato anomalo che potrebbe essere determinato dalla condanna contro le società concessionarie delle slot machine per non aver collegato gli apparecchi alla rete di controllo dei Monopoli di Stato.
CASTA STRACCIA – Eppure con la legge Madia sulla pubblica amministrazione il Governo aveva pensato di stabilire norme più ferree affinché i politici pagassero il maltolto. Peccato, però, che l’articolo 20 – appunto quello relativo al “Riordino della procedura dei giudizi innanzi la Corte dei conti” – contenga una serie di decreti attuativi (dal riconoscimento come “privilegiati” dei crediti nei confronti dei condannati per danno erariale, all’attribuzione al procuratore della Corte dei conti della facoltà di citare in giudizio l’amministratore pubblico insolvente, fino alla possibilità di ricorrere anche in questo caso al “rito abbreviato”), ma nessuno di questi è stato emanato dal Governo. Col risultato che tutto è rimasto lettera morta. E io non pago, diranno i politici, storpiando Totò. Ma, d’altronde, rimanendo col principe De Curtis, la casta è casta, come diceva nella Livella. Eh, già.
Tw: @CarmineGazzanni