Protestano, sbraitano, minacciano. Ma poi tornano nei ranghi e garantiscono sempre il voto al Senato. Dove i numeri della maggioranza sono traballanti e una rivolta vera metterebbe in affanno il presidente del Consiglio. È fatta così la pattuglia dei Signor Tentenna, che va dal bersaniano Miguel Gotor all’ex vicedirettore del Corsera Massimo Mucchetti, passando per l’ex civatiana Lucrezia Ricchiuti, l’ex vicesindaco di Roma Walter Tocci e la candidata alle primarie del 2012, Laura Puppato. L’ultima a iscriversi alla lista è Rosaria Capacchione, giornalista anti-camorra eletta a Palazzo Madama. Insomma, sono quei senatori del Pd che sembrano sempre con un piede fuori dal partito. E invece ci restano, pur potendo provare a mettere in agitazione Palazzo Chigi. A differenza di un altro collega come Corradino Mineo, che dopo tante polemiche ha lasciato i dem, aderendo al Gruppo Misto di Palazzo Madama. Mentre Felice Casson è in una posizione di “autosospensione” dal Pd. Tuttavia, il magistrato risulta ufficialmente nel gruppo. I “sor tentenna” (per dirla alla romana) del Senato sono l’altra faccia dei colleghi di minoranza alla Camera, che elenca nomi di primo piano come Gianni Cuperlo, Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza. Ma loro non possono incidere più di tanto sui destini parlamentari: a Montecitorio i numeri sono blindati per il premier.
Fedeli alla linea
“Matteo Renzi ascolta solo chi è portatore di grossi pacchetti di voti, mentre dovrebbe ascoltare anche chi non lo è”, ha affermato Capacchione in un’intervista a La Stampa. Annunciando che “di certo” non si ricandiderà, pur spiegando che resterà “iscritta al gruppo del Pd a Palazzo Madama”. Insomma, mal di pancia o meno arriverà a fine legislatura. Peraltro, dati Openpolis alla mano, viene a galla che la senatrice ha votato solo nello 0,7% contro il proprio gruppo. Anche Mucchetti ha spesso polemizzato: di recente un suo intervento su L’Unità, focalizzato sul credito cooperativo, è stato censurato. Lui ha protestato sul proprio sito, ma anche in questo caso il “ribellismo” non trova effetti pratici nei dati: solo nell’1,3% dei casi in Aula si è espresso in maniera contraria alle direttive. Miguel Gotor, “l’uomo dei penultimatum” lo definisce un ex parlamentare dem, è ancora più ligio ai richiami del gruppo: appena nello 0,3% dei voti è stato un bastian contrario. Walter Tocci si era addirittura dimesso da senatore, salvo poi restare al suo posto dopo che l’Aula ha respinto le dimissioni. Ed è rimasto fedele alla linea renziana: i voti dissidenti si fermano al 2,6% del totale. Giusto un po’ di più rispetto a Laura Puppato (ferma a 1,83%).
Le ragioni dei dissidenti
Ma cosa spinge un dissidente a restare agganciati al carro del Pd? “Mi sono iscritta nel Pci dal 1979. Ero una ragazzina: non voglio lasciare il partito in mano a Renzi. Non voglio dargliela vinta e anzi voglio provare a vincere il congresso, affinché la minoranza Pd diventi maggioranza. Magari la mia è un’illusione, ma almeno la coltivo. Andare via ora significherebbe abbandonare”, dice a La Notizia Lucrezia Ricchiuti, un’altra dissidente “storica” con solo il 3,3% di voti contrari al gruppo. E la senatrice spiega pure perché alla fine i malpancisti si piegano all’appoggio a Renzi: “Io sarei anche per dare un segnale contrario alla fiducia. Ma serve che la minoranza si unisca e la cosa non è proprio facile”. E tra un’oscillazione e l’altra i Signor Tentenna restano fedeli a Renzi. E salvano il suo Governo.