di Monica Setta
Non sono fra quelle che aveva gridato allo scandalo quando Anna Finocchiaro si era fatta immortalare dai fotografi mentre scorrazzava, beata, fra un mobile componibile e una scarpiera dell’Ikea, il carrello strapieno dello shopping spinto dai suoi angeli custodi, gli uomini della scorta. E non perchè sono così cinica da non indignarmi più davanti ai manifesti privilegi della Casta, ma solo per banale e istintiva solidarietà femminile. Povera donna, mi sono detta più volte leggendo i commenti al vetriolo che la inchiodavano alle sue responsabilità di politico che non deve abusare del “ bene comune”, avrà avuto le sue ragioni, magari una semplice nevralgia oppure un principio di artrosi, perchè no? Teoricamente le condizioni per qualche affaticamento ci sarebbero tutte visto che Finocchiaro, classe 1955, rughe volutamente non riempite da volgarissimo botox, non si è affatto risparmiata negli anni, facendo praticamente una doppia vita: tutta la settimana a Roma e il week end a casa sua, in Sicilia con marito e figlie. La donna che secondo Matteo Renzi non dovrebbe poter varcare il portone d’ingresso del Quirinale perchè indegna (non solo a causa dell’imbarazzante spesa Ikea ma soprattutto per via del consorte, tale Melchiorre Fidelbo rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e truffa aggravata) nasce, infatti, come magistrato ma fa politica attiva dal lontanissimo 1987, anno della sua prima elezione al Parlamento nelle file del Pci.
Da allora per 7 lunghe legislature, la chioma brizzolata di Anna, marcato accento siculo ostentato a mo’ di fregio e fianchi arrotondati dalle gravidanze, ha dominato – incontrastata – fra le grisaglie dei Fassino, la gelida protervia dei D’Alema, il pragmatismo dei Violante, unica femmina legittimata a rappresentare nel centro sinistra due dati eternamente antagonistici: la testa e il corpo. Finocchiaro, ammirata e venerata non tanto segretamente dal genio dalemiano, era la donna perfetta del partito, austera e competente in politica, eppure seduttiva e appassionata nella vita quotidiana. Le leggende dicono che la signora, ministro delle Pari opportunità del governo Prodi I e poi capogruppo al Senato per il Pd dal 2008 al 2013, abbia fatto negli anni strage di cuori “ anche” a destra. Lei ha sempre subito queste leziose dicerie minacciando, ove mai avessero superato il livello di guardia del “verosimile”, di difendere con foga la sua dignità nelle sedi opportune. Non risulta che lo abbia mai fatto anche se la piena delle voci ha rischiato più volte di travolgere il suo quieto vivere. L’unico amore della sua vita, diceva nei momenti critici, era il marito. Ė la mia fortuna, amava ripetere. Se non ci fosse lui, in famiglia, aggiungeva, come potrei fare politica? Peccato che, restando in tema dei 3 re magi, non è mai tutt’oro quel che luccica. Stavolta pare che Melchiorre l’abbia fatta così grossa da mettere a repentaglio la candidatura, pure molto plausibile, della moglie al Quirinale per il dopo Napolitano. A parte lo scherno di Renzi a cui la Finocchiaro ha ribattuto accorata e invelenita (“Miserabile”) il marito di Anna ė diventato come il cognato di Gianfranco Fini, fratello della compagna Elisabetta Tulliani nonché protagonista dello scandalo “ a sua insaputa” della casa di Montecarlo. A volte i parenti sono davvero serpenti. I mariti poi, te li raccomando. Almeno l’avesse accompagnata a fare compere all’Ikea, Fidelbo. E invece neanche quello, povera Anna, tanto brava e così sfortunata, inciampare in un consorte che magari sarà sicuramente innocente, ma adesso per la scalata al Quirinale è un maledetto problema di standing. Solo voci, come quelle che giravano su di lei. Falsità, certo. A pensar male si farà anche peccato, ma non si sbaglia (quasi) mai.