Renzi e la sua squadra non fanno un passo indietro sul caso Guidi. Tutto nella norma, nessun favore ai poteri forti. Ma anzi, dicono, l’inchiesta sarebbe in qualche modo nata proprio perché questo Governo, dicono da Palazzo Chigi, si è sempre opposto ai poteri forti. Le cose stanno veramente così? A rispondere per noi è Trasparency International che, invece, la pensa esattamente al contrario di quanto detto da Boschi e Renzi. Il nostro Paese, infatti, si caratterizza per l’assenza, da anni, di trasparenza e di regole puntuali per le attività di lobbying.
In particolare preoccupa, dicono dall’associazione, l’assenza di un registro dei lobbisti, senza il quale è impossibile sapere chi fa lobbying nel nostro Paese, con quali scopi e in quale settore. Se Gianluca Gemelli, compagno dell’ormai ex Ministra, fosse stato regolarmente iscritto nel registro (che non c’è), dichiarando quindi in maniera trasparente i suoi scopi professionali e i suoi clienti, sarebbe stato molto difficile coprire i motivi che hanno portato all’emendamento da ieri sotto i riflettori dei media.
Questo perché il conflitto di interessi sarebbe risultato immediatamente evidente e di conseguenza, è plausibile supporre, i due avrebbero evitato “il gioco di squadra” che sembra emergere dalle intercettazioni per favorire appunto il cliente di Gianluca Gemelli.
Ma passiamo a questo punto ai dati. Già, perché Trasparency, in tempi non sospetti (novembre 2014) ha pubblicato un report chiaro sulla questione dal titolo non banale: “Lobbying e democrazia”. Ebbene, cosa traspare da questo rapporto?
Dal 1954 ad oggi sono state presentate ben 50 proposte di legge sul lobbying. Nessuna, però, è stata mai approvata. Tanto che, scrive l’organizzazione nel dossier, “il nostro Paese non si è ancora dotato di una regolamentazione autonoma e specifica in materia di rappresentanza degli interessi”. Una situazione insostenibile, causa spesso dell’immobilismo del nostro Paese. Senza dimenticare, peraltro, che sono ben tre le sentenze della Cassazione (di cui due addirittura del 1974) che hanno confermato l’esistenza delle lobby e l’esigenza che ci sia, dunque, un registro ufficiale e trasparente in materia.
AMMONIZIONI DA BRUXELLES – Ma niente: le istituzioni italiane preferiscono non far nulla. Restano immobili, a tutto vantaggio delle lobby. Disobbedendo, peraltro, non solo alla magistratura italiana. Ma anche all’Unione Europea. A Bruxelles, infatti, esiste un registro pubblico dell’attività di lobbying (vedi le immagini qui sotto):
E dovrebbe esistere anche nei Paesi membri, dopo la Convenzione Penale sulla Corruzione del Consiglio d’Europa del 1999. Ma non c’è limite al paradosso: l’Italia infatti ha pure ratificato questa convenzione nel 2012. Ma, com’è evidente, non è cambiato nulla. Delle 50 proposte di legge, infatti, pochissime sono state effettivamente discusse all’interno delle commissioni parlamentari e nelle Camere.
SOLO TENTATIVI – Un tentativo concreto è stato fatto nel 2007 quando l’allora premier Romano Prodi ha presentato una delle più importanti proposte di legge discusse fino ad oggi, con la quale si prevedeva appunto l’istituzione di un registro pubblico dei rappresentanti di interesse. Il Parlamento, però, non ha mai approvato questa proposta. Nel maggio 2013 ci ha riprovato il governo di Enrico Letta, ma il progetto è stato abbandonato immediatamente. Oggi la regolamentazione delle attività di lobbying risulta tra le priorità del piano di riforme del Governo di Matteo Renzi. Per ora le speranze non sono tantissime, dato che nel corso dell’attuale legislatura sono 9 le proposte di legge depositate: sei sono state assegnate alla commissione competente, ma per il momento nessuna è ancora stata esaminata. Come non detto.
L’ultimo è di sole poche settimane fa, quando un testo che stazionava da mesi al Senato è stato spostato alla Camera. Il ddl a prima firma degli ex M5s Luis Aberto Orellana e Lorenzo Battista è stato approvato nella commissione Affari costituzionali del Senato ad aprile 2015. Sono passati nove mesi e il provvedimento non ha nessuna speranza di vedere la discussione in Aula. E allora ci hanno provato, come La Notizia ha già documentato, tramite un emendamento inserito nel ddl Concorrenza. Immediatamente affossato, of course. Insomma, niente di nuovo sotto al sole.