La curiosità è inevitabile: viste le tante accuse un giorno sì e l’altro pure al Governo gialloverde, come minimo – si pensa – che Matteo Renzi stia macinando proposte, denunce, mozioni, interpellanze e chi più ne ha, più ne metta. E invece dai banchi di Palazzo Madama l’ex premier, alla sua prima esperienza nei panni di senatore, pare proprio non ingranare. Sono passati più di quattro mesi dall’insediamento delle Camere e la banca dati che monitora atti parlamentari e disegni di legge presentati in questa legislatura sintetizza l’attività del fu segretario Pd in un numero chiaro: zero. Ad oggi, infatti, Matteo Renzi non ha presentato un solo atto a sua prima firma. Che sia una mozione, un’interpellanza o un disegno di legge. Nulla di nulla.
Zitti tutti, presentano loro – Dal motore di ricerca istituzionale, infatti, digitando il lemma “Matteo Renzi” compaiono 28 atti. Nessuno di questi, però, è stato presentato da Renzi, il cui nome invece compare tra i co-firmatari. Parliamo, nel dettaglio, di 20 ordini del giorno, 5 interrogazioni, un’interpellanza, una risoluzione e una mozione. Stesso discorso per quanto riguarda i disegni di legge presentati. Ne risultano tre ma, anche in questo caso, nessuno a sua prima firma. Due sono stati presentati da Tommaso Nannicini lo scorso 4 giugno e riguardano uno “Misure urgenti per il potenziamento e l’estensione del reddito di inclusione e per favorire l’occupabilità dei suoi beneficiari”, e l’altro “Delega al Governo per riordinare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e la dote unica per i servizi”. Il terzo, invece, è stato presentato solo pochi giorni fa, il 13 settembre, da Roberta Pinotti e riguada disposizioni “in favore dei familiari delle vittime e in favore dei superstiti del crollo di un tratto del viadotto Polcevera”.
Io voto no – Questo, ovviamente, non vuol dire che l’ex segretario sia assente dai banchi di Palazzo Madama. Secondo il monitoraggio di OpenPolis, infatti, Matteo Renzi è stato presente alle sedute nel 70% dei casi (689 volte su un totale di 978). Ma c’è un ulteriore dettaglio che emerge: in 13 occasioni, infatti, il volto più rappresentativo del Partito democratico, nonostante nel partito ci sia una nutrita flotta di fedelissimi (almeno così pare), ha votato in disaccordo col suo stesso partito di appartenenza. Nella fattispecie è capitato undici volte con emendamenti al Decreto Dignità e due volte, invece, con il Milleproroghe. Parliamo, ovviamente, di casi specifici e secondari e di modifiche che poi nemmeno sono state accolte. Ma è senz’altro curioso che in alcuni casi a proporre gli emendamenti sono stati esponenti di partiti di destra. Come capitato con Luca Ciriani, senatore di Fratelli d’Italia. Il Pd ha votato compatto contro un suo emendamento al Milleproroghe, Renzi a favore. E, al contrario, davanti a un emendamento della fidatissima Teresa Bellanova al Dl Dignità, Renzi ha espresso voto contrario.