Un vero e proprio usato militare “per la vendita delle navi dismesse dalla Marina militare”, come denunciato da Giorgio Beretta, analista dell’Opal (Osservatorio Permanente Armi Leggere). Da oggi aprirà i battenti SeaFuture 2018 presso l’Arsenale Militare Marittimo di La Spezia. Forse pochi ne sono al corrente, ma parliamo di un evento colossale. Organizzata da Italian Blue Growth (società che raggruppa diversi enti pubblici e fondazioni) con la Regione Liguria e in collaborazione con la Marina Militare, Seafuture ospiterà aziende e delegazioni da 40 Paesi stranieri. Fin qui tutto regolare: un’ottima vetrina per le tante aziende e multinazionali che vorranno vendere i propri prodotti e le proprie navi. Se non fosse, però, che tra le delegazioni presenti all’evento ci saranno anche rappresentanze di regimi dittatoriali. Rappresentanze che, verosimilmente, potranno acquistare anche navi messe in vendita direttamente dalla nostra Marina. Un cortocircuito di cui nessuno ha fatto mai mistero: “La manifestazione assume una grande rilevanza internazionale – si è ribadito più volte in vista di quest’edizione – grazie alla presenza delle marine estere che parteciperanno coi loro rappresentanti e che potrebbero essere interessate all’acquisizione delle unità navali della Marina Militare non più funzionali alle esigenze della Squadra Navale, dopo un refitting effettuato da parte dell’industria di settore”. Della questione si è fatto carico un comitato – “Riconvertiamo SeaFuture” – che ha lanciato un appello, ricordando come il salone fosse stato presentato nel 2009 come “la prima fiera internazionale dell’area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare”. Nel corso degli anni, però, Seafuture è stata trasformata in “una piattaforma di business dove gli operatori principali sono le aziende del settore militare insieme alla Marina”.
Bei clienti – Ma quali saranno gli Stati presenti alla manifestazione? Dalla lista presente sul sito dell’evento compaiono Paesi come l’Egitto di al-Sisi, che potrà acquistare ex navi della Marina mentre resta silente sul caso di Giulio Regeni. O, ancora, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Marocco e Qatar, “le cui forze militari sono intervenute, senza alcun mandato internazionale, nel conflitto interno in Yemen”, sottolinea Beretta. E poi, ancora, la Turchia, altro Paese in cui i diritti, stando ad organizzazioni come Amnesty, vengono sistematicamente infranti i diritti umani. Senza dimenticare l’Angola, altro Paese monitorato annualmente da Amnesty. O Iran e Pakistan, Stati in cui vige la pena di morte.
Che farà il ministro? – Secondo il comitato, dunque, verrebbe meno il rispetto della legge n.185 del ‘90 che vieta la vendita di armi (“tra cui anche le navi militari”, chiosa Beretta) a regimi dittatoriali o Paesi in cui si violano i diritti umani. Un punto, questo, su cui ha sempre battuto il Movimento 5 stelle. Da qui la domanda delle domande: cosa farà il ministro Elisabetta Trenta? Secondo quanto è riuscita ad appurare La Notizia, nonostante alcune titubanze, alla fine la titolare della Difesa parteciperà all’evento (sulla stessa scia di Roberta Pinotti che ha sempre presenziato). “È una questione istituzionale, essendo la Marina corpo della Difesa”, spiegano. Anche perché, ci dicono, “a decidere sulle esportazioni di armi è il ministero degli Esteri, la Difesa può solo prenderne atto”. Tutto vero. Vedremo, però, come verrà raccolta dagli attivisti un’eventuale partecipazione della Trenta a SeaFuture.