Nell’Unione europea che verrà, la Meloni rischia di non toccare palla

Nell'Unione europea che verrà, stretta tra i paletti di Scholz, Rutte e Tusk, la Meloni rischia di non toccare palla.

Nell’Unione europea che verrà, la Meloni rischia di non toccare palla

Se l’incontro informale per parlare dei futuri vertici dell’Unione Europea per Giorgia Meloni doveva essere l’occasione per mettere l’Italia al centro dell’UE, allora qualcosa sembra non essere andata per il verso giusto. Che la strada fosse in salita, lo aveva messo in chiaro sin da subito il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, spiegando che essendoci una “maggioranza stabile”, l’obiettivo dei 27 era quello di trovare un accordo “nel più breve tempo possibile” ma, soprattutto, escludendo il partito dei conservatori guidato dalla premier italiana.

Ma la vera doccia fredda è arrivata poco dopo quando Donald Tusk, il premier della Polonia e membro di spicco dei popolari europei, ha sostanzialmente gelato ogni ipotesi di accordo con la premier italiana spiegando, quando il vertice non era ancora iniziato, che “non è il mio compito convincere Meloni, abbiamo già una maggioranza con PPE, Liberali e Socialisti e altri piccoli gruppi. La mia sensazione è che sia più che sufficiente”.

Nell’Unione europea che verrà, la Meloni rischia di continuare a non toccare palla

Posizioni che hanno indispettito non poco la leader italiana che sognava di creare scompiglio e, invece, ha constatato l’esistenza di un tavolo già apparecchiato, con Ursula von der Leyen come candidata alla guida della Commissione UE, Antonio Costa a presidente del Consiglio Europeo e Kaja Kallas al ruolo di Alto commissario per la politica estera dell’UE, e a cui non è stata nemmeno invitata. Del resto, neanche i cosiddetti amici sembrano lasciare margini di manovra alla leader dei conservatori, visto che perfino il premier dimissionario dell’Olanda, Mark Rutte, ha tagliato corto affermando che “i nomi di Ursula von der Leyen e quelli menzionati sono gli stessi usciti dal vertice informale” dell’UE.

Ironia della sorte, proprio Rutte ieri ha incassato un successo personale, riuscendo a farsi garantire il supporto dall’Ungheria di Viktor Orbán alla sua candidatura alla guida della NATO come erede di Jens Stoltenberg. Una poltrona ingombrante che la premier Meloni, come emerso in diversi retroscena dei mesi scorsi, ha più volte rivendicato per l’Italia, salvo venire ignorata.

Exit strategy dopo il flop nell’Unione europea

Tutte posizioni che possono fornire una possibile spiegazione alla posizione del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in un’intervista al Sole 24 Ore ha spiegato che “da troppo tempo non discutiamo del nostro sviluppo economico e industriale, della nostra stessa sopravvivenza. Scelte come il Green Deal vanno ribaltate”. “La futura Commissione Europea e il futuro assetto delle istituzioni europee in questo momento non hanno bisogno di velocità, ma hanno bisogno di compattezza” e il vero “tema, mai come oggi, è scegliere il programma del prossimo governo della prossima Unione Europea”.

“Il punto non è esibire la scelta di nomi fatti in un giorno, la cosa fondamentale è capire quale sarà il percorso che vogliamo far intraprendere all’Europa nei prossimi anni”, ha aggiunto Crosetto. Insomma, con le candidature per i ruoli chiave già scritte, il governo italiano prova a spiegare che il problema non è sui nomi – su cui non sembra avere voce in capitolo – quanto sui programmi dove, questa è la speranza, si può fare leva sui buoni rapporti instaurati con la von der Leyen. Peccato che Ursula, che da tempo flirta con Meloni nel tentativo di blindare la propria ricandidatura, ieri ha capito che non può tirare la corda più di tanto spingendo per allargare la maggioranza perché così facendo rischia di venire scaricata dai socialisti e dai liberali.

Insomma, in questa nuova Unione Europea, in realtà pressoché identica alla vecchia, il governo italiano che sognava di diventarne un pilastro, rischia di trovarsi più isolato che mai.