Di Nicola Catenaro per Il Corriere della Sera
Ventotto proroghe. Così l’incarico dirigenziale temporaneo al dipendente di un ente diventa stabile. Quasi perpetuo. Retribuzione lorda annua, 83 mila euro, come scritto sul sito dell’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Protagonista del paradosso burocratico è il direttore facente funzioni, Marcello Maranella, giornalista, ex assessore in Provincia di Teramo e un passato da militante nel Pci. Ad apporre la firma sulla proroga, qualche settimana fa, è stato un altro collega, Arturo Diaconale, che a differenza di Maranella il giornalista lo fa sul serio dirigendo a Roma il quotidiano L’Opinione delle libertà e del Parco è presidente.
Lui e il direttore sostituiscono nei poteri il Consiglio Direttivo dell’Ente Parco, scaduto nel 2007 e mai rinominato, e amministrano un’area protetta che copre tre regioni (Abruzzo, Lazio e Marche), cinque province (L’Aquila, Teramo, Pescara, Rieti ed Ascoli Piceno) e 44 comuni. Ma siccome Diaconale può garantire la sua presenza ad Assergi, sede del Parco, solo per un paio di giorni alla settimana, il vero deus ex machina dell’Ente è Maranella, finito nell’occhio del ciclone proprio a causa del suo eterno incarico.
Tra i contestatori c’è Bruno Dante, ex consigliere comunale di Castel Del Monte (L’Aquila), che, in una lettera al quotidiano abruzzese Il Centro , cita numeri e leggi: il direttore del Parco è nominato con decreto del ministro dell’Ambiente e scelto in una rosa di tre candidati proposti dal consiglio direttivo tra gli iscritti a un albo di idonei a cui si accede mediante concorso per titoli. «Ora — scrive l’ex consigliere —, il dottor Maranella non risulta iscritto al predetto albo (e comunque di tale iscrizione non si dà conto nella deliberazione di proroga), né è stato nominato con decreto ministeriale. Ha avuto semplicemente un incarico dirigenziale della durata di tre mesi a partire dal 1° giugno 2004 per ragioni di necessità e urgenza. Nessuno ha avuto da ridire su quell’incarico provvisorio. Però, quando le ragioni di necessità e di urgenza durano dieci anni, anzi undici con la proroga in corso, allora quelle ragioni non sono più credibili».
Maranella è amareggiato per le critiche, ma si difende: «Le proroghe sono legittime e i miei diritti non me li tocca nessuno — si sfoga con il Corriere il direttore dell’Ente Parco —, lavoro tutti i santi giorni in silenzio e portando a casa con il personale i risultati, ben dieci milioni di euro di progetti europei per la biodiversità che hanno consentito di sopperire alla riduzione dei trasferimenti statali. Qui l’unico danneggiato sono io». Danneggiato perché? «Non ho alcun beneficio dalle proroghe e non sono io a volerle, il problema è che si vogliono mettere in discussione anche le cose virtuose».
Ma il paradosso resta. E c’è una legge che impone di pescare dall’albo. «Stiamo parlando di un elenco ormai superato, la maggior parte dei direttori delle aree protette italiane è stata selezionata con una procedura analoga e la metà va avanti con le proroghe. È la legge semmai che va cambiata. Sbaglia chi contesta che il mio nome non è presente nell’albo, quell’elenco lo ripeto non è aggiornato. Ora, per esempio, io ho tutte le idoneità».