Nacque il primo direttorio Cinque Stelle composto da: Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia. Un gruppo ristretto di cinque deputati più il padre fondatore che doveva far superare al Movimento un periodo difficile a seguito di contestazioni interne e relative espulsioni. Poi l’esperienza ebbe termine senza grandi risultati e vide emergere la figura di Di Maio a capo politico del Movimento. “Direttorio”, termine suggestivo, non è una trovata giornalistica come qualcuno pensa, ma si tratta di un organo esecutivo varato nel 1795 in Francia dopo la caduta di Robespierre proprio per evitare una nuova deriva assolutistica. Ho riportato questa noterella storica solo perché – come noto – la storia, fatti tutti i debiti paragoni, spesso si ripete. E ora si parla di un nuovo direttorio. Un gruppo per giungere ai famosi Stati Generali M5S rimandati causa virus e porre fine all’esperienza di Vito Crimi come reggente pro tempore.
Alle crisi si reagisce spesso così, con una gestione collegiale e, occorre dirlo, Beppe Grillo è rimasto per troppo tempo senza ruoli ufficiali nella sua creatura politica. Padre nobile defilato, garante, risolutore di pasticci, “balio” insomma il suo ruolo è stato quello di garantire la tenuta dei Cinque Stelle e la crescita e il consolidamento di una classe dirigente, con maturità istituzionale. Diciamo che l’idea di un direttorio 2.0 – come lo ha definito Roberta Lombardi – non è nuova perché dopo la débâcle alle Europee che portò alle dimissioni di Di Maio le spinte centrifughe sono state molte. I “contestatori” si sono palesati ufficialmente ma non hanno mai avuto una massa critica per preoccupare la stabilità del Movimento fino a quando Alessandro Di Battista non è tornato in politica attiva. A quel punto le cose sono cambiate perché i dissidenti hanno trovato una sponda ben precisa nell’ex deputato reatino.
E Di Battista ha accelerato l’iter lanciando una bella sassata domenica scorsa da Lucia Annunziata chiedendo un congresso e ponendo quindi le basi di una possibile scissione. Durissima e immediata la reazione di Grillo che gli ha dato della “marmotta fuori tempo” e Di Maio si è subito associato nel giudizio. Dietro tutto questo poi c’è un convitato di pietra e cioè la deroga al secondo mandato che fa piacere a tutti tranne a Di Battista che di mandato ne ha fatto solo uno. I nomi che girano sono quelli di Crimi, dei ministri Di Maio, Alfonso Bonafede e Stefano Patuanelli, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, della vicepresidente del Senato Paola Taverna, del presidente della Camera Roberto Fico, di Davide Casaleggio e naturalmente di Beppe Grillo.
Questa mossa è l’unica che in effetti può tentare di stabilizzare i pentastellati perché il direttorio permetterebbe di avere una camera di compensazione naturale in cui mediare la tenuta del Movimento contro il rischio principale che si delinea e cioè una possibile scissione del gruppo legato a Di Battista in cui vi sono anche persone animate da probabili risentimenti personali. Il ministro degli esteri, Luigi Di Maio, è stato l’unico a dichiararsi ufficialmente della partita e si è posizionato, come da consuetudine, al centro, equidistante dagli estremi. Un ruolo che gli permette di giocare a tutto campo la sua partita e magari portare l’affondo finale proprio al direttorio nascente, come del resto fece anche nell’esperienza precedente.