La si potrebbe buttare giù così: se non scegli l’opzione che ti viene proposta rischi di schiantarti con la macchina; se la scegli, però, rischi di schiantarti cadendo dal decimo piano, anche se nessuno fa cenno a questo secondo pericolo. Nel ruolo di chi propone la prima opzione c’è il Mps, il disastrato istituto senese alla prova di un complicatissimo piano di salvataggio orchestrato dalla banca americana Jp Morgan, in coabitazione con Mediobanca. La traduzione finanziaria dell’esempio è più o meno la seguente. Se migliaia di risparmiatori non decideranno di convertire in azioni le loro obbligazioni subordinate, operazione funzionale all’aumento di capitale di Mps, rischiano di far sprofondare la banca nella tanto temuta procedura di bail in (come se fosse colpa loro). Il tutto con la conseguenza che il valore dei titoli in loro possesso risulterebbe azzerato.
Lo scenario – Messa così, nessuno dovrebbe esitare ad accettare l’offerta. Peccato però che Mps non dica che accettando la conversione le stesse migliaia di risparmiatori passerebbero dall’essere creditori della banca ad azionisti. Con tutti i rischi di capitale che ne conseguono, se si considera che solo nell’ultimo anno il titolo Mps ha ceduto in Borsa l’83%. Insomma, migliaia di obbligazionisti si trovano a dover affrontare un doppio rischio enorme, dovendo pure scegliere sotto la “minaccia” di Mps. Al centro della scena, del resto, c’è un’offerta a dir poco tagliente. La banca senese, guidata dal nuovo ad Marco Morelli, propone ai detentori di obbligazioni subordinate l’acquisto dei loro titoli con contestuale obbligo di reinvestire il ricavato in azioni. Il valore nominale di titoli in questione è di 4,28 miliardi, di cui 2,1 riferiti ai bond con scadenza 2018 sottoscritti dai piccoli risparmiatori. Questa conversione dei bond in azioni, in pratica, è un passaggio funzionale al perfezionamento dell’aumento di capitale da 5 miliardi, a sua volta funzionale alla cessione dei crediti deteriorati di Siena per 27,6 miliardi.
L’affondo – Così, per spingere alla conversione decine di migliaia di piccoli risparmiatori, Mps usa toni quasi minatori. Nella nota diffusa nella tarda serata di lunedì l’istituto premette che “le componenti dell’operazione sono collegate tra loro e pertanto il perfezionamento di ciascuna di esse rappresenta una condizione per il perfezionamento delle altre”. Un’elevata adesione “assume pertanto fondamentale importanza, ai fini dell’aumento di capitale”. E laddove Mps “non riuscisse a portare a termine l’aumento di capitale, non potrebbe completare il deconsolidamento del portafoglio npl”. Ovvero quella cessione di crediti deteriorati che è l’altra gamba del salvataggio. A quel punto, conclude la nota, scatterebbe l’applicazione del bail in, con “gli strumenti computati nei fondi propri della banca, tra cui i titoli, potrebbero essere soggetti a riduzione del relativo valore nominale”. Ieri Mps ha chiuso a -10%.
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