Se la sinistra piange, il Partito democratico non ride. L’esclusione di Stefano Fassina dalla corsa per il Campidoglio è scoppiata come una bomba proprio all’inizio ufficiale della campagna elettorale a Roma. Il candidato sub judice fa finta di niente. Ma le conseguenze sono difficili da prevedere nell’intero scacchiere della competizione capitolina. Perché il Pd ha la possibilità di recuperare voti, grazie alla scomparsa di un concorrente che era indicato intorno al 5-6%. Un bottino che potrebbe fare la differenza alla luce dei delicati equilibri in campo. Il punto è che non è tutto facile.
Trattative complicate
Fonti vicine ai due partiti parlano di un contatto tra il dem Enzo Foschi, esponente di spicco del partito nella Capitale, e il vicepresidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, che guida l’ala di Sel più disposta al dialogo con il Pd per riproporre lo schema regionale anche ad altri livelli. Lo scopo del colloquio è intuibile: individuare i possibili candidati democratici su cui far confluire i consensi di Fassina. Ma l’accordo è difficile. Per molti addirittura irraggiungibile. L’ex viceministro dell’Economia, dopo la fuoriuscita dal Pd, preferirebbe la vittoria dei 5 Stelle a quella di un esponente renziano. Come se non bastasse la defezione della sinistra presenta un rovescio della medaglia: un brutto risultato di Roberto Giachetti (scenario abbastanza probabile visti gli ultimi sondaggi) non avrebbe nemmeno più l’alibi della sinistra radicale che ha giocato a far perdere il centrosinistra. “È vero che noi abbiamo fatto una figuraccia. Ma se fossi nei dirigenti dem avrei poco da ridere”, afferma un esponente di Sinistra italiana (Si) a taccuini riposti. Il clima è questo. Quindi la trattativa per portare a casa i voti di Fassina è tutta in salita. “È vero se in alcuni municipi c’era stato una sorta di patto di desistenza per evitare la guerra sulla presidenza”, osserva un’altra fonte. “Ma il discorso per il Campidoglio è tutt’altra questione”, aggiunge. Perché ha un rilievo decisamente più nazionale.
Naufragio radicale
“Altro che modello Tsipras. Non riusciamo nemmeno a presentare le liste come richiede la normativa”, si sfoga un altro dirigente di Si. Fassina ha preso molto male la notizia della sua esclusione. In pubblico ha annunciato una battaglia per la riammissione e dallo staff trapela un moderato ottimo sull’esito del ricorso. Ma c’è anche chi ammette: “Uno dei punti principali del programma era la legalità. Ora saremmo costretti ad aggrapparci a qualche aspetto burocratico per riuscire a presentarci al voto. Non è il massimo per l’immagine”. In sintesi, pure un’eventuale ammissione delle liste di sinistra non sanerebbe il problema. Il sostegno alla candidatura dell’ex viceministro dell’Economia, peraltro, non era maturata in un contesto sereno. Anzi. E ora la base dei militanti è letteralmente furiosa. Di mezzo ci sono anche storie di persone che avevano speso il proprio nome per portare voti, nella consapevolezza di un’elezione difficile al Campidoglio. “Il dibattito è stato lungo e lacerante. Dopo otto mesi questo è il risultato”, racconta un dirigente locale di Sel. Che aggiunge con amarezza: “Probabilmente questo è il prodotto di un percorso iniziato male”. Così la Sinistra italiana sembra già naufragata prima di spiegare le vele.