di Sergio Patti
Per i giudici sì, per le Forze dell’ordine no. Ha due pesi e due misure l’ultima sentenza della Corte Costituzionale, la numero 154, che ha rigettato il ricorso del personale della Guardia di Finanza contro il blocco degli stipendi nel pubblico impiego. In tempi di vacche magre, si dirà, non ci sono le coperture necessarie e dunque va stretta la cinghia. Se però guardiamo con più attenzione, ecco che di deroghe negli ultimi anni se ne sono fatte. Eccome! Si è iniziato – guarda caso – con i magistrati, esonerati quasi subito dal congelamento degli stipendi proprio dalla stessa Corte costituzionale (sentenza 223/2012), a quell’epoca evidentemente meno rigida sull’argomento. C’è stato poi il caso del personale della scuola, che non ha ottenuto tutto quello che voleva, ma quasi, grazie alle numerose mobilitazioni sindacali. Considerato che ormai sono cinque anni che gli stipendi non possono essere toccati, inevitabilmente anche il personale pubblico privatizzato (dalle grandi aziende partecipate a molte municipalizzate) ha esercitato tutta la pressione di cui poteva (spesso con scioperi e manifestazioni) riuscendo così a mitigare gli effetti del blocco. Qui il cavallo di Troia è stata la contrattazione integrativa, che ha dirottato nelle buste paga le una serie di risorse in precedenza escluse dal blocco. In questo modo si sono create situazioni molto diverse da amministrazione ad amministrazione pubblica, tanto che il governo è dovuto intervenire recentemente per mettere ordine nella contrattazione integrativa del personale delle Regioni e degli Enti locali (art. 4 del Dl 16 di quest’anno).
Per il personale del comparto sicurezza e difesa, invece, la norma è stata applicata alla lettera, come ha duramente denunciato una nota del Cocer (il sindacato) delle Fiamme Gialle.
Figli e figliastri
Chi rivestiva un grado nel 2010, è stato fatto notare, manteneva il trattamento economico previsto; chi lo ha acquistato successivamente al 2011 ha assunto le funzioni, se del caso è stato trasferito in un’altra città, ma non gli è stato corrisposto il trattamento economico corrispondente all’incarico. In sostanza si è lavorato, e di più, gratis. Chi ha responsabilità minori guadagna tanto quanto chi ha responsabilità maggiori. È legittimo tutto questo? La risposta della Consulta, nella stessa ultima sentenza, è stata che “La censura, incentrata sulla presunta distorsione delle dinamiche dei rapporti tra colleghi e sulle possibili ripercussioni negative sull’andamento degli uffici, si sostanzia infatti in considerazioni metagiuridiche (!!) e meramente ipotetiche”. Ipotetiche? Per il Cocer Gdf una tale considerazione è invece “tutt’altro che ipotetica e metagiuridica, e la sentenza risulta profondamente ingiusta e lontana dalla realtà”.
Conflitto pericoloso
Siamo di fronte dunque a un gigantesco conflitto tra un corpo centrale dello Stato – la Guardia di Finanza – trattata palesemente a pesci in faccia, e niente di meno che la Corte Costituzionale. È anche così che uno Stato si sfalda, le istituzioni diventano confliggenti e tra le fila dei servitori dello Stato parte il “rompete le righe”. Non a caso proprio nella Guardia di Finanza molti ufficiali e molti degli uomini che hanno potuto sono andati via dal corpo, cercando nel privato incarichi e posizioni di gran lunga meglio pagate. Per uscire dal “metadiritto e rientrare nella realtà, prendendo atto delle distorsioni e delle ingiustizie che sono davanti agli occhi di chiunque voglia vederle” – ha denunciato il sindacato dei finanzieri – il Cocer ha chiesto un intervento urgente del Governo “che ristabilisca l’equità economica e doti il personale del comparto di effettivi strumenti di rappresentanza e contrattazione”. Tradotto: la Finanza non sciopera e non abbandona il suo posto di lavoro, fedele al giuramento di fedeltà allo Stato, ma ogni pazienza ha un limite. E con i suoi servitori lo Stato sta arrivando al punto massimo di resistenza. Palazzo Chigi è avvisato.