Tra i 28 Stati dell’Unione europea, l’Italia è uno dei 6 Stati che non ha ancora adottato un salario minimo orario. All’appello mancano anche Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e Cipro (l’unico a prevedere livelli minimi retributivi per alcune particolari categorie di lavori). Con il disegno di legge a prima firma della presidente della commissione Lavoro del Senato, Nunzia Catalfo (M5S), l’Italia punta ora a colmare il gap che la separa dalla maggior parte dei Paesi Ue. E che ora il leader M5S, Luigi Di Maio, punta ad approvare in tempi rapidi.
DUMPING SALARIALE. Ma cosa prevede il ddl targato Cinque Stelle? La norma fissa a 9 euro lordi la soglia minima del salario orario al di sotto della quale non sarà più possibile scendere. L’obiettivo è, in primo luogo, dare applicazione all’articolo 36 della Costituzione, assicurando “una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità” del lavoro, “sufficiente” a garantire “un’esistenza libera e dignitosa” al lavoratore e alla sua famiglia. La norma punta, inoltre, a prevenire l’allerta lanciata dall’Eurostat nell’ultimo rapporto 2018. In base al quale l’11,7% dei lavoratori subordinati italiani (a fronte di una media europea del 9,6%), percepisce uno stipendio inferiore ai minimi fissati dal contratto di lavoro di riferimento.
Il risultato, nel medio lungo periodo, è sconfortante: 5,7 milioni di lavoratori percepirà, dal 2050, una pensione da fame, ben al di sotto del livello di povertà. Infine, l’introduzione del salario minimo orario si prefigge di completare, integrandolo, il percorso avviato con il Reddito di cittadinanza, contrastando il cosiddetto dumping salariale. Impedire cioè la corsa al ribasso dei salari, che tra il 1999 e il 2017 hanno fatto registrare la crescita media annua più bassa d’Europa (appena l’1,6%). Stando ai dati dell’Osservatorio Inps 2017, non a caso, un lavoratore su quattro guadagna meno di 780 euro al mese. Mentre lo stipendio medio per i giovani under 30 si attesta, nel nostro Paese, intorno agli 830 euro al mese. Insomma, salari da lavoratori poveri.
MAGLIA NERA. E non finisce qui. Tra i 22 Paesi su 28 dell’Unione europea che hanno adottato una normativa ad hoc, in cima alla classifica (vedi tabella) svetta il Lussemburgo: il salario minimo mensile non può scendere sotto i 1998,6 euro. Seguono l’Irlanda (1.614) e l’Olanda (1.578) sul secondo e il terzo gradino del podio. Completano il gruppo degli Stati High-range, il Belgio (1.562,6), La Francia (1.498,5), La Germania (1.497,8) e il Regno Unito (1.462,6). Prima tra i Paesi Mid-range, la Spagna con 858,6 euro al mese. In Italia, come detto, un under 30 percepisce mediamente 830 euro al mese. Ma in tutti i Paesi Ue appena elencati, la legge gli garantirebbe un livello di reddito – a parte la Spagna – molto più elevato.
Ma non è tutto. Per i tecnici dell’Ufficio parlamentare di bilancio, sentiti in audizione durante l’esame del decretone su Reddito di cittadinanza e Quota 100, in alcune province italiane il reddito medio mensile di un lavoratore dipendente si attesterebbe, addirittura, intorno ai 520 euro al mese. Insomma, una serie di numeri e dati che, messi insieme, rendono davvero difficile sostenere che i 780 euro del Reddito di cittadinanza siano una cifra troppo alta rispetto a stipendi, in molti casi, da fame.