Quanti sono, dove potrebbero essere e cosa sta facendo l’Antiterrorismo per assicurarli alla giustizia è da sempre un tabù ai piani alti del Viminale e del ministero della Giustizia. Prova ne è l’assenza dei loro nomi e dei loro curriculum criminali nella pagina Internet della Direzione centrale della polizia criminale dedicata ai latitanti di massima pericolosità. Non ci sono né i rossi, come l’ormai ex latitante Cesare Battisti, né i neri. In due parole, spiega una fonte qualificata della Polizia di Stato, non dare pubblicità all’elenco dei latitanti politici che dagli anni Settanta mancano ancora oggi all’appello “è una scelta operativa”.
Il numero di target ritenuti primari, su cui almeno due generazioni di investigatori si sono finora concentrate, sono circa 50. Sono tutti condannati in via definitiva, come lo era Battisti, per associazione sovversiva, banda armata, omicidio e strage. Almeno 30 di questi si trovano in Francia, il Paese che più di ogni altro – grazie alla cosiddetta dottrina Mitterrand – ha accolto chi aveva imbracciato un mitra per fare politica. Poi c’è Nicaragua, Brasile, Argentina, Cuba, Libia, Angola, Algeria e Svizzera.
Tra il 1978 e il 1982, gli anni in cui il terrorismo politico insanguinò il nostro Paese, circa 500 esponenti della sterminata galassia eversiva italiana (qualcosa come 92 sigle tra sinistra e destra) hanno scelto di sottrarsi alla giustizia rifugiandosi Oltralpe. Un censimento di diversi anni fa parla 163 imprendibili “rossi”, 46 dei quali condannati in via definitiva per omicidi e ferimenti e i restanti 117 con l’accusa, in molti casi ormai prescritta, di associazione sovversiva e banda armata.
In cima alla lista, la stessa dove fino a oggi compariva anche il nome di Battisti, ci sono ad esempio due latitanti storici delle Brigate Rosse, entrambi implicati nel sequestro e nell’uccisione del presidente della Dc Aldo Moro. Si tratta di Alessio Casimirri (nella foto), nome di battaglia “Camillo”, uno dei nove del commando che il 16 marzo 1978 partecipò alla mattanza di via Fani, insieme ad Alvaro Lojacono. Casimirri nel 1980 si è dissociato dalle Br e due anni dopo è fuggito prima in Francia, poi a Cuba, Panama e infine in Nicaragua dove si è unito al Fronte Sandinista e dove, tuttora, vive con moglie i figli.
Casimirri, che ha anche un profilo Facebook, oggi fa il pescatore ma deve scontare l’ergastolo per i fatti di via Fani, così come il suo compagno Lojacono, che, invece, si è rifatto una vita in Svizzera. Nel ‘93 il compagno Camillo fu raggiunto nel Paese dell’America centrale da due agenti del Sisde a cui fornì indicazioni per far arrestare la sua ex moglie, Rita Algranati, anche lei brigatista, e Maurizio Falessi. Entrambi catturati dai Servizi in Algeria nel 2004. Una missione, quella del Servizio segreto civile, molto discussa, che costò allo Stato circa un miliardo e mezzo di lire ma che non consentì l’arresto di Casimirri. A cosa servì tutto quel denaro è ancora oggi un mistero. Uno dei tanti quando si maneggiano storie di questo tipo.
Ma nell’elenco dei “parigini” ci sono anche l’ex esponente di Lotta Continua, Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, Enrico Villimburgo, ex Br condannato all’ergastolo nel processo Moro, ma anche Simonetta Giorgieri e Carla Vendetti, coinvolte più recentemente nelle inchieste per i delitti D’Antona e Biagi, e Sergio Tornaghi, anche lui deve scontare l’ergastolo, così come Giovanni Alimonti.
La cattura di Casimirri, scrive oggi in una lettera al premier Giuseppe Conte l’ex presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, Beppe Fioroni, “riveste una straordinaria importanza”. Una sfida subito raccolta dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che, forte dell’indubbio successo incassato con Battisti, promette che il Governo assicurerà alla giustizia i latitanti di “qualsiasi colore”.