Più che commissario europeo per gli affari economici, bisognerebbe ribattezzarlo commissario in Europa per gli affari economici della Francia. Pierre Moscovici è fatto così: se da una parte punta il dito contro il nostro Paese chiedendo di scendere nel rapporto deficit/Pil anche sotto il 2,04%, chiude entrambi gli occhi quando si parla della sua amata Francia: Emmanuel Macron – ha detto pochi giorni fa – potrebbe anche andare oltre il 3%, sforando l’impossibile, a patto che sia per ragioni straordinarie. Valide, manco a dirlo, solo e soltanto per Parigi.
Ma guai a parlare di due pesi e due misure: il commissario pensa al bene dell’Europa. Punto. Ed è per questo che – si penserà – i suoi viaggi l’hanno condotto in tutto il continente perché, da brevo membro della Commissione, ha il dovere di toccare con mano le tante e varie situazioni che vivono i singoli Paesi. Ma c’è un Paese che, per Moscovici, è per così dire più “europeo” degli altri: la sua Francia, ça va sans dire. Basta andare sulla pagina istituzionale del commissario europeo e recarsi sulla sezione “trasparenza” per rendersi conto di come negli ultimi mesi la Francia sia stata praticamente la sua unica meta nei suoi viaggi e nelle sue missioni.
Gli ultimi dati disponibili arrivano fino a settembre, mese in cui risulta una sola missione. E dove mai sarà andato il commissario? Dal 3 al 5 settembre Moscovici staziona a Parigi per via di una serie di interviste rilasciate a Rfi, France5, Les Echos e Le Figaro. Un vero e proprio tour de force che si conclude con una riunione di lavoro e con la partecipazione al Model European Union, sempre a Parigi. Da giugno a luglio i viaggi istituzionali sono quattro, ma non ce n’è uno che non contempli anche una capatina a Parigi: a fine giugno, prima di andare in Lussemburgo, partecipa a Parigi al discorso di chiusura dell’Assemblea generale della rete di avvocati “Pangea”, poi realizza qualche intervista, incontra politici vari e partecipa ad altri seminari; a inizio luglio, prima di Atene, incontra i revisori della Corte dei conti francesi, interviene – nonostante risulti missione istituzionale – al seminario “Domani, il futuro dell’Europa, è la sinistra”; a fine mese torna ancora a Parigi prima di partire per Buenos Aires per incontrare l’Assemblea Nazionale e discutere della zona euro.
Ma se passiamo ai mesi aprile-maggio il legame Moscovici-Francia è ancora più, se si vuole, sfacciato: undici viaggi istituzionali e tutti in Francia. Nessuno escluso. Ora per una serie di conferenze tenute a Lione con tanto di pranzo con le imprese locali e “dialogo con i cittadini” (5 aprile), ora per incontrare editorialisti e politici francesi (25 aprile), ora per intervenire al Consiglio delle Regioni (15 maggio). Stessa musica anche nei mesi precedenti. Col risultato paradossale che nel periodo consultabile (da dicembre 2017) c’è soltanto una missione che, ahinoi, non contempla la Francia: quando lo scorso 11 gennaio è andato a Sofia.
Dopodiché, vuoi per nostalgia vuoi perché la France è sempre la France, non c’è stato un viaggio istituzionale in cui Moscovici non abbia fatto tappa a Parigi. O a Lione. O a Tolosa (dove, per inciso, si è recato per “visite sul campo” e per partecipare, da commissario Ue, al dibattito poco istituzionale “Quale futuro per la sinistra in Europa?). I numeri parlano per tutti: da dicembre 2017 a settembre 2018 le missioni istituzionali (e, in quanto tali, pagate dall’Ue) del commissario sono state 33. Di queste, 32 l’hanno portato anche o solo in Francia. Chapeau.