di Francesca Malandrucco
Un magnifico reticolo di linee bianche che si intrecciano fino a raggiungere un’altezza di 130 metri, come a voler toccare il cielo, e una struttura di cemento armato che ha la grazia di una scultura e la solennità di un tempio antico. Intorno è silenzio, abbandono, incuria. Si presenta così la Città dello Sport progettata da Santiago Calatrava a Tor Vergata, vicino allo svincolo dell’Autostrada Roma-Napoli, costata fino ad oggi 200 milioni di euro di fondi pubblici e rimasta incompiuta. Per finirla e fare già primi interventi di ristrutturazione servirebbero almeno altri 500 milioni di euro. Sarebbe dovuta diventare tante cose: il grande polo sportivo del Campus Universitario, la sede dei Mondiali di Nuoto del 2009, una delle strutture destinate ai giochi olimpici del 2020. Invece niente di tutto questo.
Il degrado
Il progetto ambizioso dell’architetto-ingegnere di Valencia, ad appena sei anni dalla posa della prima pietra, presenta già i segni drammatici del degrado e imbarazza i protagonisti di quello che sotto gli occhi di tutti è diventato un monumento allo spreco: l’Università di Tor Vergata, il Comune di Roma e la Vianini Lavori del Gruppo Caltagirone, la società che ha avuto l’incarico di costruire la Città dello Sport.Non ci sono guardiani a custodia dell’opera incompiuta, a vigilare sui varchi aperti in più punti lungo la recinzione, nonostante dall’Università avessero garantito un servizio di sorveglianza fino all’agosto di quest’anno. Tutto sembra essere stato abbandonato da un giorno all’altro, come in un tragico scenario da “day after”. I segni del passaggio dell’uomo sono rimasti nelle gru ai due lati del cantiere, nei cavi elettrici mollati sul terreno, nelle centinaia di migliaia di viti e bulloni lasciati arrugginire sotto l’acqua, nelle casse di malta cementizia che si sarebbero dovute usare per l’impermeabilizzazione delle piscine ma sono state abbandonate sotto il sole. E ancora, ci sono le tonnellate di barre di acciaio per il cemento armato e le migliaia di fusti di vernice, materiale altamente infiammabile. Nessun’altra traccia dell’uomo. Nessuno lavora più al cantiere di Tor Vergata, i soldi sono finiti. Mentre l’acqua, che si è infiltrata dal tetto, fin dentro le colonne, goccia inesorabile, mettendo a rischio la struttura di Calatrava. Solo l’eco di quelle gocce rompe il silenzio che regna sui 662mila metri cubi di cemento armato abbandonati. Di fronte agli evidenti segni del deterioramento della Città dello Sport, un anno fa Rodolfo Maria Strollo, docente di Ingegneria e responsabile per Tor Vergata del progetto di Calatrava, e l’ormai ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, annunciarono che avrebbero indetto una gara europea per trovare finanziatori privati disposti a completare l’opera in cambio della gestione degli impianti per un periodo di 25 anni.
L’interesse dei privati
All’inizio del 2012, quando sembrava ancora che Roma potesse essere candidata ad ospitare le Olimpiadi del 2020, la Nec Group International, una società svizzera, aveva mostrato interesse per la Vela di Calatrava. Ma poi le Olimpiadi sono sfumate e tutto è rimasto in sospeso. Del bando pubblico non se ne è saputo più niente. Dall’Università nessuno parla. Il rettore, Renato Lauro, è arrivato alla scadenza del suo mandato. Le elezioni sono previste tra poche settimane. E’ scomodo commentare in questo momento uno scandalo che è sotto gli occhi di tutti. A nulla sono servite le ricognizioni che, in via del tutto riservata, Santiago Calatrava ha fatto al suo cantiere nei mesi scorsi. Ora lo scomodo testimone passerà al nuovo rettore e al neo eletto sindaco di Roma, Ignazio Marino.Eppure ad un primo sguardo sembrerebbe che il più è stato fatto. E’ stato realizzato il palanuoto da 4000 posti, con la piscina olimpica da 50 metri, la piscina per i tuffi e quella per il riscaldamento degli atleti. Anche lo stadio per il basket da 15mila posti è quasi terminato. I servizi sono pronti, così come e le due piscine esterne al complesso. Si tratta complessivamente di una superficie di 99mila metri quadrati. Quello che manca completamente sono le infrastrutture intorno. Il Comune avrebbe dovuto portare la metropolitana leggera di superficie dall’Anagnina, completare le strade ed espropriare quel terreno che dalla vela arriva alle facoltà di Tor Vergata, dove sarebbe dovuto sorgere un parco. La vela bianca, l’unica realizzata delle due progettate, si specchia malinconica nei laghi di pozzanghere provocati dalle infiltrazioni dell’acqua, quasi sapesse il destino che la attende. Certo non è bastato costruire canaline di scorrimento dell’acqua per evitare che la piscina olimpionica si riempisse. Gli interventi di manutenzione di cui avrebbe già bisogno la Città dello Sport sono ben altri.
In sette anni quadruplicato il costo dell’opera
Nel febbraio 2006 l’archistar Santiago Calatrava riceve l’incarico di progettare la Città dello Sport a Tor Vergata da un Raggruppamento Temporaneo di Imprese che ha vinto una gara europea e opera per conto dell’Università di Roma 2. Il Comune di Roma, l’Università, il C.O.N.I. e il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per il Lazio, l’Abbruzzo e la Sardegna, hanno infatti firmato un protocollo d’intesa, l’opera di Tor Vergata fa parte degli interventi previsti per la realizzazione dei “Mondiali di Nuoto Roma 2009”. In cinque mesi il progetto è pronto.
Il disegno di Calatrava prevede la costruzione di un palasport da 8mila posti, un palanuoto da 4mila più una piscina olimpionica esterna con tribune fisse per 3mila posti oltre ad una pista di atletica.
Costo complessivo dell’opera, circa 240 milioni di euro, di cui 169 per lavori veri e propri e 71 per la preparazione dell’area. La società incaricata di eseguire il progetto è la Vianini Lavori, del Gruppo Caltagirone. La gestione dei fondi è affidata alla Protezione Civile, diretta allora da Guido Bertolaso che a sua volta affida l’amministrazione dei capitali ad Angelo Balducci. Entrambi sono stati poi rinviati a giudizio all’interno dell’inchiesta sugli appalti del G8 e alcuni “Grandi Eventi”.
Il progetto di Calatrava è stato approvato in Conferenza dei Servizi nel mese di settembre 2006 ma, successivamente, mentre era in corso la redazione del progetto definitivo, il Comune di Roma, in previsione della candidatura per le Olimpiadi del 2016, valuta l’opportunità la Città dello Sport agli standard olimpionici. L’impegno complessivo di spesa cresce e arriva a circa 608 milioni di euro.
Per far in modo che la Città dello Sport sia pronta per i Mondiali di nuoto del 2009, si approva un primo stralcio funzionale del progetto per un importo di circa 256 milioni di euro. Nell’estate 2008, però, gli organizzatori capiscono che il progetto di Calatrava non sarà mai pronto nei tempi e decidono che la manifestazione si sarebbe tenuta al Foro Italico. Nel 2009 i lavori a Tor Vergata vengono bloccati. I fondi sono finiti. Due anni dopo, però, l’ipotesi della candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 riaccende la speranza. I lavori riprendono, anche se non sono fissate date certe per la consegna dell’opera. Le stime dei costi salgono a 660 milioni di euro, risorse che sarebbero state in parte reperite da privati attraverso un project financing.
Ma poi all’inizio del 2012 l’allora Presidente del Consiglio Mario Monti fa cadere la candidatura di Roma, facendo così spegnere i riflettori sulla vela di Calatrava. L’ultima speranza era riposta nella gara europea per far entrare i privati nel completamento e gestione dell’opera, che si sarebbe dovuta indire per fine 2012. Siamo nel 2013, ma della gara non c’è traccia.
Mondiali 2009. Le piscine della vergogna
Costate 42 milioni di euro
Non sono mai state utilizzate
I Mondiali di Nuoto 2009 non hanno portato bene a Roma. La vela di Calatrava, costuita da Caltagirone, infatti, non è la sola opera incompiuta della Capitale. E’ in buona compagnia. Ci sono almeno altri due grandi monumenti allo spreco che segnano come cicatrici il tessuto urbanistico della Città Eterna, il Polo natatorio di Ostia e quello di Valco San Paolo, sull’Ostiense. Nati in due aree molto diverse di Roma, hanno condiviso uno stesso destino. Entrambi facevano parte degli interventi previsti per la realizzazione dei “Mondiali di Nuoto Roma 2009”, sono stati inaugurati in corso d’opera pochi giorni prima della manifestazione internazionale, per poi chiudere subito dopo.Complessivamente si sono bruciati così 42 milioni di euro di finanziamenti pubblici, rispettivamente 26 milioni per il Polo di Ostia e 16 per quello di Valco San Paolo, in un periodo in cui lo spettro della crisi economica mondiale, partita dagli Stati Uniti, sembrava ancora lontana e c’era chi riteneva di poter usare le risorse pubbliche, se non altro, con una certa leggerezza. Ma partiamo con l’impianto sportivo di Ostia, che doveva essere uno dei fiori all’occhiello dei mondiali, ma su cui oggi pendono due inchieste, una della Corte dei Conti, l’altra della Procura di Roma. Nel settembre dello scorso sono stati iscritti nel registro degli indagati quattro funzionari responsabili del procedimento dell’assegnazione dell’opera, con l’accusa di abuso d’ufficio. Al centro dell’inchiesta della Procura ci sono i criteri di assegnazione della struttura che non sarebbero in linea con il rispetto delle regole di trasparenza imposti dall’Unione Europea. Il pubblico ministero Maria Cordova ha avviato una serie di consulenze per far luce sui costi dell’opera lievitati in poco tempo. Il Polo natatorio, che si affaccia sul lungomare di Ostia, infatti doveva costare 14 milioni di euro. Invece alla fine sono stati spesi 26 milioni di euro, quasi il doppio, e l’impianto non è stato ancora completato. Ma c’è un altro particolare che lascia senza parole. La piscina olimpionica non venne mai utilizzata per i Mondiali del 2009 perché era più lunga di un metro e mezzo rispetto alla misura standard prevista, 50 metri. Ad accorgersene furono proprio gli atleti olimpici arrivati ad Ostia per allenarsi prima della competizione, e in particolare il team inglese che dopo essersi accorto dell’anomalia ha dovuto abbandonare immediatamente la piscina. Le misure a norma, invece, non hanno impedito al Polo natatorio di Valco San Paolo, costruito su un’ansa del Tevere nel quartiere Ostiense, di essere chiuso dopo soli venti giorni dalla sua inaugurazione. La struttura, infatti, venne aperta in gran fretta e richiusa subito dopo la fine dei mondiali. Dovevano essere portati a termine una serie di lavori per il completamento dell’opera prima della sua consegna definitiva alla città. Invece i lavori non sono più andati avanti e il centro sportivo con tre piscine da 10, 35 e 50 metri, è stato abbandonato a se stesso. Le tribune in cemento non sono state più completate, così come le piscine interne sono rimaste incompiute. E intanto l’acqua ha riempito la grande piscina olimpionica esterna e l’erba è cresciuta nell’incuria più assoluta. In soli quattro anni il Polo natatorio è diventato prima terra di nessuno, poi discarica di rifiuti ingombranti. Fino a quando non sono comparsi i primi segni del degrado strutturale che si sono manifestati con crepe sulle pareti, intonaco che cade dai soffitti, il tetto della struttura pericolante e il pavimento di parquet della palestra completamente divelto. E’ legittimo chiedersi come sia stato possibile tutto questo in così poco tempo, verrebbe da pensare al tipo di qualità dei materiali usati per costruire quei 30mila metri quadrati di impianti.
Il bando del Campidoglio per la realizzazione dell’opera è stato vinto nel 2007 dal Consorzio Stabile Novus. Il direttore di Opere pubbliche e ambiente, società per azioni del gruppo, era il costruttore Francesco Maria De Vito Piscitelli, l’imprenditore che rideva al telefono nella notte del terremoto dell’Aquila, finito nell’inchiesta per gli appalti del G8 e condannato in primo grado a due anni e otto mesi nel processo per l’appalto della Scuola per Marescialli a Firenze.