Di Livia Pandolfi>
Non è ancora la rivoluzione del nostro welfare, ma dopo il lancio della riforma del terzo settore (dove si propone un’integrazione fra pubblico, privato e privato sociale per garantire cura e assistenza ai cittadini) il Patto della Salute aggiunge un nuovo tassello. L’accoro appena chiuso fra ministero e regioni, e che sarà siglato tra breve, parla di ospedali di comunità, presidi territoriali, nuovi standard di distretto e “costituzione di reti assistenziali come baricentro territoriale per facilitare i processi di integrazione per la tutela della salute dei cittadini”. Tradotto: avremo un sistema sanitario che sposterà sempre di più i pazienti fuori dagli ospedali, salvo i casi molto gravi, e li orienterà verso l’assistenza integrata domiciliare. Per far questo conterà molto sull’aiuto dei servizi privati per gestire la salute dei cittadini e dei tanti anziani che, secondo l’Istat, aumenteranno di 8 milioni entro il 2030. Una partita, questa , che coinvolgerà anche le Pmi e di cui si è anche dibattuto nel corso della Conferenza nazionale dei servizi della Cna conclusa venerdì scorso. Un progetto ad hoc, che non a caso si chiama “Welfare&Pmi”, è stato illustrato da Valter Marani, direttore del Patronato Cna Epasa e responsabile di Cna Cittadini.
Cosa c’entrano le piccole e medi imprese con i servizi di welfare?
Moltissimo. Questa è una partita, anzi, sulla quale le piccole e medie imprese italiane si giocano un pezzo di futuro. Perché la transizione demografica in atto e il carico di cura delle famiglie, i bambini, i non autosufficienti, la casa, pone dei problemi che non sono più gestibili dalle famiglie stesse e dalle donne, con grave danno alla loro partecipazione al mercato del lavoro. E poi ogni nucleo familiare spende già oggi, in media, circa 667 euro al mese, una cifra non più sostenibile. Ecco, noi proponiamo che siano proprio le Pmi, organizzate in rete, a fornire questi servizi integrati alle famiglie.
Di che servizi parliamo?
Intanto di quelli cosiddetti leggeri che riguardano le persone e la casa. Quindi dalle pulizie, all’assistenza ai bambini, ai non autosufficienti, agli anziani, anche con demenze invalidanti, fino al giardinaggio o al servizio di consegna della spesa.
Non ci sono già colf e badanti?
Si, ma le famiglie sono lasciate al fai da te, al passaparola. Le imprese possono offrire servizi qualificati, ovviamente non più in nero e integrati. E la Cna può fare da punto di riferimento per risolvere i problemi, anche amministrativi e di adempimento e fornire tutto ciò di cui la famiglia ha bisogno a 360 gradi. In questo modo le famiglie hanno vita più facile, le donne possono entrare in maggior numero nel mondo del lavoro, emerge un pezzo della nostra economia – cosa non secondaria per lo Stato – si crea lavoro. Ma questo è solo il primo pezzo del ragionamento.
E qual è il secondo?
Qui parliamo di futuro, di rivoluzione tecnologica e digitale, di invecchiamento della popolazione e dello spostamento sul territorio che il Ssn sta varando dagli ospedali alle case. Le abitazioni del futuro saranno, lo sappiamo, case 2.0, anche a misura di tutti quegli anziani che invecchiano e che moltiplicano i nuovi bisogni. Da questo punto di vista si apre un grande nuovo mercato per le pmi.
Quale?
Quello della domotica, della telemedicina, della tele assistenza, le smart home technologies, del medicali device e anche della produzione dei dispositivi medici. Nelle case 2.0, infatti, gli anziani, i non autosufficienti, ma anche i malati non acuti, quindi potenzialmente tutti, avranno bisogno di nuove soluzioni abitative, saranno non solo teleassistiti ma anche monitorati dal punto di vista sanitario grazie a nuovi dispositivi i cui dati verranno letti in remoto negli ospedali. Ecco perché ci sarà bisogno di pmi dell’edilizia, dell’istallazione, dei servizi informatici, dei settori insomma tecnologicamente più avanzati, pronte alla sfida. E noi della Cna le stiamo preparando.