Gli italiani? Hanno la mafia nel Dna. Parola di Cristina Kirchner, la vicepresidente dell’Argentina rinviata a giudizio nel settembre scorso con l’accusa di corruzione e di essere “a capo di un’associazione a delinquere”. Il 1° febbraio, intervenendo alla Fiera del libro dell’Avana, si è scatenata contro la persecuzione giudiziaria di cui si ritiene vittima: “In Argentina il lawfare (l’uso del sistema giudiziario per screditare un avversario politico, ndr) ha avuto una componente mafiosa” che “ha portato alla persecuzione dei miei figli”. E quella “componente mafiosa”, udite udite, “deve essere probabilmente causata dagli antenati di chi è stato presidente” e grazie al quale sono passate le leggi che la perseguitano: Mauricio Macri, presidente dal 2015 al 2019 e figlio di un imprenditore di origine calabrese che è emigrato in Argentina nel 1948.
INSULTO LIBERO. Non è la prima volta che la Kirchner spara a zero contro gli italiani. “Morti di fame”, è arrivata a definirli in un discorso nel 2012, quand’era presidente, ordinando poi nel 2013 di rimuovere il monumento a Cristoforo Colombo che gli immigrati italiani avevano donato alla città di Buenos Aires. L’anno scorso un deputato vicino alla signora, Rodolfo Tailhade, aveva rincarato la dose, attaccando Macri in Parlamento per le sue origini calabresi che, come ha riportato il quotidiano online L’italiano, ne avrebbero fatto “una specie di Vito Corleone, perché in Sicilia e Calabria sarebbero tutti mafiosi o camorristi”. Immediata, all’epoca, la reazione della comunità italiana: Julio Croci e Filadelfio Oddo, i presidenti della Faca (la Federazione delle associazioni calabresi in Argentina) e della Fesisur (la Federazione delle entità siciliane in Argentina), avevano pubblicamente chiesto le scuse del deputato, minacciando di denunciarlo all’Inadi, l’Istituto nazionale contro la discriminazione, il razzismo e la xenofobia.
Anche oggi l’indignazione è alle stelle. Bufera su Twitter e sui social, dove molti invocano l’intervento dell’Inadi utilizzando l’hashtag #CFKdiscrimina, mentre la Fundación Apolo l’ha denunciata all’Oa, l’Ufficio anticorruzione, per le sue manifestazioni “italofobiche” e per la violazione del “codice etico della Función Pública”. Silenzio di tomba, invece, sul fronte italiano. Non un fiato da parte del ministro degli Esteri Luigi Di Maio o dell’ambasciatore Giuseppe Manzo. Tacciono i parlamentari eletti in Sudamerica, come il deputato Eugenio Sangregorio (nato in Italia nel 1936, vive in Argentina dal 1957) e il senatore Adriano Carlo (nato a Montevideo ma di casa a Buenos Aires). Non una parola si è sentita dal senatore Ricardo Merlo, che oltre a essere argentino è il capo politico del Maie (movimento associativo italiani all’estero) ed è, soprattutto, sottosegretario agli Esteri.
DUE PESI E DUE MISURE. Merlo il 9 dicembre scorso era a Buenos Aires per presenziare al giuramento del nuovo presidente Alberto Fernandez e incontrare gli esponenti del nuovo governo di cui la Kirchner fa parte. E non è mancato, il 31 gennaio, quando Fernandez è arrivato a Roma per incontrare Giuseppe Conte. Bell’incontro, ha poi commentato il presidente peronista: il governo italiano ha garantito all’Argentina un “importante appoggio” per la rinegoziazione del debito estero. Non risulta che in quel frangente Cristina abbia avuto qualcosa da ridire contro gli italiani mafiosi.