L’Isis colpisce in Daghestan ma per il Cremlino la colpa è sempre di Zelensky e dei suoi alleati occidentali

L'Isis colpisce in Daghestan ma per il Cremlino la colpa è sempre di Zelensky e dei suoi alleati occidentali

L’Isis colpisce in Daghestan ma per il Cremlino la colpa è sempre di Zelensky e dei suoi alleati occidentali

Dall’attentato al Crocus City Hall di Mosca, in cui a marzo scorso persero la vita 139 civili russi, a quello in Daghestan di questo weekend, in cui le vittime sono state almeno 20, per il Cremlino la colpa è sempre dell’Ucraina e degli alleati occidentali. È incredibile, ma neanche le rivendicazioni dell’Isis, con tanto di immagini e video come accaduto nell’episodio di 3 mesi fa, sembrano convincere le autorità di Mosca sulla paternità degli attentati che hanno sconvolto la Russia. Del resto, in tempo di guerra, è chiaro che ogni episodio, anche se esterno al conflitto, deve essere piegato alla propaganda.

L’Isis colpisce in Daghestan ma per il Cremlino la colpa è sempre dell’Ucraina di Zelensky e dei suoi alleati occidentali

Così, in attesa di una rivendicazione ufficiale che viene data per “imminente”, pur aumentando le evidenze che fanno pensare a un attentato di matrice islamica – sebbene resti aperta anche la pista del terrorismo interno –, il doppio attacco nel Daghestan, con un gruppo armato che ha preso di mira due sinagoghe e due chiese ortodosse causando 20 morti e 46 feriti, per l’entourage di Vladimir Putin non può che essere addebitato a Zelensky & Co. Poco importa se, proprio come già accaduto nel caso del Crocus City Hall, non c’è il benché minimo indizio che punti il dito sull’Ucraina, sugli Stati Uniti o su qualche Paese UE.

Al momento l’unica certezza è che il gruppo di fuoco, al grido “Allah Akbar”, ha preso di mira la Chiesa dell’Intercessione della Beata Vergine Maria e la vicina sinagoga di Derbent, la città più antica e meridionale della Russia, nonché patrimonio mondiale dell’Unesco. Qui il commando, agendo in modo del tutto analogo a quanto già visto in infiniti attentati di matrice islamica, ha sparato sulla folla e, soprattutto, ha assassinato in modo estremamente brutale il prete ortodosso, padre Nikolaj Kotelnikov.

Poi, in segno di sfregio, hanno incendiato i due edifici religiosi. Poco dopo c’è stato il secondo attacco, questa volta a Makhachkala, dove c’è stata una violenta sparatoria e sono state colpite altre due strutture religiose. Pressoché immediata la reazione delle forze di sicurezza russe che sono entrate in azione e, secondo quanto riferiscono da Mosca, hanno neutralizzato i sei membri del commando.

La Russia non crede alla pista dell’Isis e si lancia nella solita propaganda

Modalità operative, schemi di combattimento e perfino il grido di battaglia – immortalato in alcuni video che sono diventati subito virali –, hanno subito convinto tutti che l’azione è stata portata avanti dallo Stato Islamico (Isis). A ritenerlo probabile è l’Institute for the Study of War (ISW) secondo cui “il ramo del Caucaso settentrionale dello Stato islamico (IS), Wilayat Kavkaz, ha probabilmente condotto un attacco complesso e coordinato contro chiese, sinagoghe e strutture di polizia nella Repubblica del Daghestan”.

Ma a far sbilanciare ISW è soprattutto il fatto che “la filiale russa di Al-Azaim Media dell’IS-K ha pubblicato una dichiarazione” subito dopo l’attacco in cui ha elogiato “i loro fratelli del Caucaso” che hanno dimostrato di cosa è capace il gruppo. Un’analisi che appare blindata ma che non viene condivisa dal Cremlino.

Anzi, secondo il presidente del Consiglio federale russo, Valentina Matvienko, l’attacco terroristico “è stato pianificato all’estero dai nemici della Russia”. Un evento che il vertice dell’Alta Camera del Parlamento della Russia non esita a definire “una provocazione assolutamente cinica” portata avanti dall’Ucraina e dai suoi alleati, aggiungendo che questi “non solo hanno pianificato l’attentato ma lo hanno anche finanziato e progettato per seminare discordia”, spiegando che, però, “la Russia è più unita che mai e il loro tentativo è destinato al fallimento”. Stessa linea portata avanti dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha sottolineato – quasi fosse la prova regina del caso – che la Russia “non ha ricevuto telegrammi di cordoglio da Paesi ostili” e “non ci sono state neanche parole di condanna da parte loro”.