di Clemente Pistilli
Anche essere povero può essere un reato. E se c’è un figlio da mantenere, allora meglio essere barboni. Almeno così la pensa la Corte di Cassazione che di fare sconti non ne vuol proprio sapere. E così capita che un cuoco siciliano si è visto annullare l’assoluzione perché per gli ermellini è troppo poco povero per farla franca.
Una vita grama
Il cuoco siciliano è uno dei tanti soldati dell’esercito dei papà separati, costretti a tirare avanti con uno zaino pieno di problemi e scarpe con le suole sfondate. Un componente della truppa di disperati che hanno perso affetto e serenità. Troppo spesso anche la dignità per continuare a camminare a testa alta. Non ce l’ha fatta a pagare l’assegno di mantenimento al figlio minore stabilito dal giudice, quando lui e la sua compagna si sono detti addio. Le tabelle, i parametri, gli indici utilizzati dai magistrati sono una cosa, la vita in cui non si trova lavoro e quando capita qualcosa è con paghe da fame è un’altra cosa.
Due verità e due misure
Ma il siciliano non ha fatto parte di quelli che se ne fregano. Ha tirato la cinghia e, in due anni, ha consegnato alla donna diecimila euro per badare al figlio. Ha messo nelle mani della ex compagna i suoi risparmi e cercato così di contribuire alla crescita del suo bambino. Non basta. Il cuoco è stato denunciato, indagato e processato con l’accusa di aver violato gli obblighi di assistenza familiare. L’imputato ha assicurato ai giudici di aver fatto il massimo e di non riuscire a fare di più con uno stipendio di 800 euro al mese. In primo grado le giustificazioni non sono servite e il siciliano è stato condannato, mentre a tendergli la mano sono stati i giudici della Corte d’Appello di Catania. La ex compagna dell’imputato ha affermato che non era possibile che il suo ex guadagnasse così poco, che di sicuro doveva avere uno stipendio superiore che nascondeva. I giudici di secondo grado, ritenendo la condotta dell’uomo giustificata invece dalle sue condizioni economiche, il 22 giugno 2012 lo hanno assolto per non aver commesso il fatto. “Non si era sottratto volontariamente all’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza”, hanno sostenuto i magistrati. Fine dell’incubo. Ma solo per poco. Il procuratore generale catanese ha fatto ricorso in Cassazione. Ha chiesto di riconsiderare la vicenda, di appurare che l’imputato era colpevole, di condannarlo. E il procuratore generale è ora riuscito a far valere le sue ragioni. La VI sezione penale della Suprema Corte, accogliendo il ricorso della pubblica accusa, ha annullato la sentenza di assoluzione del cuoco e rinviato gli atti a un’altra sezione della Corte d’Appello di Catania, per un nuovo processo.
Niente sconti
Secondo gli ermellini non basta essere un precario e guadagnare poco, ma per evitare la condanna è necessario che le condizioni economiche si traducano in un vero e proprio stato di indigenza. In pratica si deve finire a dormire tra i cartoni in qualche stazione ferroviaria e mendicare un pasto caldo alla mensa dei poveri. La Corte di Cassazione ha ritenuto che non erano state provate con certezza le affermazioni fatte dall’imputato, relative allo stipendio misero che non gli consentiva di pagare integralmente l’assegno stabilito in fase di separazione, e a pesare c’erano poi le affermazioni della moglie, quel sospetto su guadagni ulteriori celati. “Occorre dimostrare – si legge nella sentenza appena depositata – che tali difficoltà si sono tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e quindi nell’impossibilità di adempiere all’obbligazione”. Una linea chiara e che la Corte intende portare avanti. Non è servito altro agli ermellini per annullare la sentenza di assoluzione con rinvio alla Corte d’Appello di Catania. E nel nuovo processo i giudici non potranno essere comprensivi più di tanto. La Suprema Corte ha specificato che, nel nuovo giudizio, la Corte dovrà attenersi alla “corretta lettura degli atti” e applicare “il principio di diritto richiamato”. O il cuoco riuscirà a dimostrare che non ha un centesimo o finirà condannato. Essere poco povero al siciliano non basta per salvare almeno la fedina penale.