Solo un effetto collaterale. Mentre il Paese fa i conti con il fiasco delle riforme del Governo Renzi, dall’occupazione alle banche, dalla pubblica amministrazione alla modifica della Costituzione, a Palazzo Chigi si combatte tutta un’altra guerra. A nessuno come all’ex premier fa comodo che si parli di uno scontro tra suoi fedelissimi e l’attuale Presidente del Consiglio Gentiloni, perfetto responsabile a cui addebitare al momento del voto i flop renziani, ma la faida in atto ha radici antiche e le sciabolate inferte e ricevute proprio da Gentiloni ne sono appunto solo un effetto collaterale. La vera guerra è tutta dentro il giglio magico e la perizia democristiana del Capo del Governo potrebbe non bastare per salvarlo dal redde rationem tra gli amici carissimi della Leopolda. La partita vera, infatti, non è quella in corso tra un Gentiloni improvvisamente deciso ad incollarsi alla poltrona e i renziani altrettanto improvvisamente pentiti di averlo fatto premier, capeggiati dal sottosegretario Boschi. Il giorno che Renzi vorrà farlo cadere, questo Governo avrà non i minuti, ma i secondi contati.
Post post-verità – Dove il tempo della diplomazia è finito è invece tra i renziani stessi. Ed è qui che stanno uscendo fuori tutti gli altarini. A cominciare dall’insostenibile convivenza con la gola profonda che ha affondato la nomina di Marco Carrai alla guida dell’Agenzia sulla cyber security, la ormai scopertissima ex vigilessa Antonella Manzione. La signora, che Renzi voleva mandare al Consiglio di Stato pur non avendo una sufficiente anzianità nell’alta dirigenza, è da tempo in ottimi rapporti personali con il giornalista che spiattellò la storia di Carrai sul Fatto Quotidiano. Dopo quell’anticipazione del giornale di Travaglio, proprio la Boschi dovette intervenire in Parlamento per chiarire e bloccare la faccenda. Non a caso lo stesso giornalista, questa volta dalle colonne della Verità di Belpietro, dopo l’emersione di numerose e costose consulenze di diversi ministri renziani, il 14 dicembre scorso scriveva che “solo alcuni (pochi) si sono comportati con una certa eleganza istituzionale”, riferendosi alla Manzione che di consulenze ne aveva date solo due e di appena 5.000 euro l’una. Una “eleganza giornalistica” verso una renziana di ferro che non poteva passare inosservata in un giornale visceralmente anti renziano come quello di Belpietro. E che diventava evidente come una pistola fumante sulla scena del crimine quando poco dopo, sempre lo stesso cronista ridicolizzava la Boschi con la soffiata della sua richiesta di essere chiamata sottosegretaria. Storia che svela chiaramente a che punto sia arrivata l’intolleranza tra l’ex ministro delle riforme e il capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. Di qui la più che ovvia pressione della Boschi (e di Carrai) per rispedire la vigilessa nel traffico a Firenze e indicare un altro dirigente, Cristiano Ceresani, per la guida del dipartimento agli affari giuridici e legislativi. Richiesta che Gentiloni non ha accontentato perché rimuovere la Manzione farebbe saltare gli equilibri instabili del giglio magico innescando un domino dagli effetti pericolosissimi.
Giochi di potere – La vigilessa dunque resiste non perché Renziana messa lì a garantire l’ex premier contro Gentiloni, ma solo perché garante dell’ala ostile alla Boschi, in una partita di potere dove le anime belle da tempo hanno smesso di giocare. Faida nella quale è finito Roberto Cerreto, altro dirigente indicato sempre dalla Boschi (a cui tocca la scelta) come vice segretario generale di Palazzo Chigi.