L’Italia ripudia la guerra, recita l’articolo 11 della Costituzione. Sarà anche vero. Quel che è certo è che non ripudia la vendita di armi. L’importante, casomai, è non farlo troppo sapere. Ma niente paura: in fatto di trasparenza siamo indietro anni luce. L’ultimo campanello di allarme è stato lanciato a Ginevra dal rapporto annuale “Small Arms Survey”, che analizza il mercato globale delle “armi leggere”. Armi che – al di là del nome affabile – contano nel proprio annovero non solo pistole e fucili di piccola dimensione, ma anche fucili d’assalto, armi automatiche e anche mitragliatori e lanciarazzi. Armi che l’Italia – in aperta contraddizione con la legge 185 del 1990 che regola l’esportazione di armi – vende anche a forze armate e di sicurezza di governi che violano sistematicamente i diritti umani. Ebbene, dal rapporto “Small Arms Survey” (che riporta i dati per il biennio 2013-14) emerge che l’Italia è, dopo gli Stati Uniti, il principale esportatore al mondo di “armi leggere”. Quasi un primato.
Per quanto riguarda, invece, la trasparenza non godiamo della stessa invidiabile posizione. Tutt’altro. Il “Barometro della trasparenza” all’interno del rapporto presenta infatti la classifica dei Paesi per chiarezza e esaustività dell’informazione sull’export di queste armi. E qui l’Italia è solo dodicesima, preceduta da Germania, Svizzera e Olanda (le tre ai primi posti), ma anche da Regno Unito e Francia e finanche da Serbia, Slovacchia e Romania. Il rapporto è stato presentato in questi giorni a Ginevra in occasione della Terza conferenza degli Stati membri sul Trattato del commercio di armi (Att). Conferenza alla quale tutti i paesi aderenti sono tenuti a inviare specifici rapporti sulle esportazioni di sistemi militari e in particolare sull’export di armi leggere.
Silenzio di tomba – “Il rapporto presentato dall’Italia è tra i peggiori di tutti i paesi europei”, commenta Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia. “Non solo non riporta i dati sui sistemi militari effettivamente esportati, ma solo quelli autorizzati, ma non indica né il valore né i paesi destinatari. Questa grave mancanza di informazioni – continua Beretta – è da attribuirsi all’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA), incardinata presso il Ministero degli Esteri: non è giustificabile in base ad alcuna norma e squalifica l’Italia nei confronti degli altri Stati membri”. Insomma trasparenza ridotta all’osso, nonostante un fatturato che continua a crescere spaventosamente: nel 2014 le esportazioni di “armi comuni” valevano 514 milioni, nel 2015 circa 563, l’anno scorso hanno raggiunto 579 milioni. Vedremo ora se qualcosa cambierà in quanto a trasparenza dopo l’incontro di Ginevra.
Il passo in avanti – Una forte richiesta per il controllo delle esportazioni di armamento e anche per la piena trasparenza è arrivato due giorni fa anche dal Parlamento europeo che ha approvato ad ampia maggioranza (386 voti favorevoli, soprattutto del “gruppo progressista”, 107 contrari e 198 astensioni) una risoluzione che chiede, tra le altre cose, l’istituzione di un’autorità per il controllo delle armi sotto l’egida dell’Alto rappresentante per la politica estera, incarico oggi ricoperto da Federica Mogherini. Non solo: l’Europarlamento chiede anche la creazione di un meccanismo di sanzioni per gli Stati membri che non rispettano la Posizione comune e di migliorare l’elenco dei criteri relativi alle esportazioni di armi per obbligare gli Stati membri a considerare il rischio potenziale di corruzione nel Paese acquirente. Ma sopratutto chiede di aumentare la trasparenza in materia di comunicazione, fornendo informazioni in modo sistematico e tempestivo sulle licenze di esportazione e trasformando, entro la fine del 2018, la relazione annuale dell’Ue in una banca dati online consultabile. Cosa farà l’Italia? Finora in fatto di armi, per tutte le risoluzioni europee si è attesa la decisione del Consiglio cercando di “adattarle” il più possibile alla nostra legislazione. Nessuna intenzione di fare il primo passo. Come spesso diceva l’attuale presidente del Consiglio da ministro degli Esteri: “Qualora in sede Onu o Unione europea venisse assunta una tale decisione, l’Italia, ovviamente, si adeguerebbe immediatamente a prescrizioni e divieti”. Fino a quel momento gli affari di armi possono proseguire indisturbati.
Twitter: @CarmineGazzanni