Per Gian Carlo Caselli, più che la responsabilità la cosiddetta ‘politica dei due forni’ di andreottiana memoria – che per qualcuno è stata rispolverata oggi dal leader del M5s, Luigi Di Maio – “richiama l’opportunismo”. Luigi Di Gregorio, docente di Scienza politica all’Università della Tuscia di Viterbo e di Comunicazione Politica presso il master in Leadership politica alla Luiss di Roma, la vede invece in maniera diversa, per certi versi più complessa. E tra i pentastellati e Matteo Salvini, che da una parte, volente o meno, continua ad essere ancorato alla coalizione di Centrodestra e dall’altra strizza un giorno sì e l’altro pure l’occhio ai grillini, non ha dubbi: “Bisogna andare oltre la visione destra-sinistra-centro, malgrado ciò rispetto al suo competitor Di Maio ha le mani più libere”.
Perché dice questo?
“Non solo il M5s è al di là di destra e sinistra, ma non è neanche un partito di centro com’era la Dc a suo tempo. Di Maio può adottare questa politica perché, tendenzialmente, al suo partito i voti sono stati dati non per il programma o le idee, che infatti cambiano in continuazione, ma per motivi antropologico-biografici”.
Tradotto vuol dire?
“Io voto quelle persone perché sono come me, o comunque così le percepisco: cittadini, onesti etc. L’esempio di Fico che dopo essere stato eletto alla presidenza della Camera sale sull’autobus e rinuncia all’indennità di carica è calzante. Così di cosa vogliano fare o non fare gli eletti interessa relativamente, l’importante per quel pezzo di elettorato è che ci siano loro al Governo. Per questo, nell’ottica dei due o più forni, Di Maio può sentirsi libero di appellarsi tanto al Pd quanto alla Lega. È come se chi li ha scelti avesse dato loro un mandato in bianco, talmente in bianco che il capo politico esce dal colloquio con Mattarella dicendo sull’euro il contrario di quanto sostenuto fino a poco tempo fa. E nessuno si lamenta”.
Anche Salvini però gioca su due tavoli: da una parte quello con Berlusconi e la Meloni, dall’altra proprio quello del M5s…
“Per il leader della Lega sostenere una politica come questa è impossibile. Visto che il suo partito ha preso la metà dei voti di quello di Di Maio, andare a governare col M5s senza il resto del Centrodestra rischia di condannarlo all’irrilevanza nel Governo. Non ci sono scorciatoie, a meno di un Esecutivo di Centrodestra con l’appoggio esterno del Pd che tuttavia avvantaggerebbe clamorosamente il M5s: primo partito e all’opposizione, una ‘pacchia’ utile a crescere ancora nei consensi”.
Ma quando si rivoterà? La situazione non promette niente di buono.
“Continuo ad essere convinto che tornare in poco tempo alle urne sia l’unica soluzione plausibile, forse con una legge elettorale diversa, forse no. Perché chiunque cercherebbe di imporre la propria soluzione ideale: il M5s il doppio turno di collegio, il Centrodestra un maggioritario a turno unico etc. Non sarebbe facile trovare la quadra”.
Il Pd secondo lei resterà all’opposizione o, spinto magari dal Quirinale, tornerà sui suoi passi?
“Nell’area culturale che ruota intorno al partito sono stati molti quelli che hanno suggerito di aprire al dialogo coi 5S. Personalmente, credo che la scelta di Renzi non sia sbagliata: stare all’opposizione, dopo anni al Governo che hanno portato i dem al punto più basso della loro storia, è l’unico modo per tornare a crescere. Tutte le altre ipotesi di cui si parla sono rischiose”.
Tw: @GiorgioVelardi