di Nicoletta Appignani
C’è un altro Chico Forti prigioniero in America. Come il velista italiano, arrestato con la dubbia accusa di omicidio e detenuto negli Usa da anni, così Pino Lo Porto, che si trova rinchiuso in un carcere dell’Alabama per altrettante fumose accuse di molestie sessuali. Con un’aggravante: Giuseppe Lo Porto ha 80 anni, è portatore di pace maker ed è stato operato di cancro. Il che non gli ha impedito di finire in carcere in Alabama, per le accuse della sua ex moglie americana, al termine di un frettoloso procedimento di estradizione precedentemente negato in Olanda e di cui anche il Tar del Lazio ha dichiarato la nullità.
Ma Pino, tessera numero uno dell’Associazione Internazionale Vittime Errori Giudiziari, rimane in America. L’11 marzo inizierà il processo.
La storia ha inizio il 2 luglio 1996. Lo Porto vive in una cittadina dell’Alabama. Negli ultimi mesi sta pensando di separarsi dalla moglie, della quale ha adottato i tre figli. Una mattina come tante, esce per recarsi a lavoro. Ma questa volta non fa in tempo a varcare la soglia: fuori dalla porta due agenti lo ammanettano e lo portano via. Sembra un film, invece purtroppo non è così. Inizialmente pensa ad un errore, ma bastano pochi minuti a capire la tragica realtà: la moglie lo ha accusato di molestie ai danni della figlia minore. L’uomo è incredulo. Gli agenti lo fanno salire sull’auto e lo trascinano immediatamente in carcere. Questo malgrado le accuse fin troppo generiche e l’assenza di un referto clinico. Nel frattempo, lo stesso giorno dell’arresto, la moglie si precipita a presentare una dichiarazione dei redditi che non tiene conto del marito per poi tentare l’indomani di prelevare tutti i soldi dal conto bancario comune. Operazione, quest’ultima, che non le riesce totalmente perché lui ha appena disposto un bonifico per il proprio avvocato che gli garantirà almeno l’inizio della difesa. Pino nel frattempo viene scarcerato, mentre i capi d’accusa variano in continuazione. Alcuni spariscono, altri si aggiungono. Alla causa per molestie si somma quella di divorzio ed entrambe in poco tempo riducono l’uomo, prima facoltoso imprenditore, sul lastrico. Tutto va a beneficio della moglie. Lo Porto è disperato e teme di non potersi salvare. In preda al panico fugge in Italia, dove scrive un libro contro il sistema giudiziario americano, di cui lui stesso è stato una vittima, narrando la propria storia e molte altre di cui nel frattempo viene a conoscenza. Tutto cambia quando una sera, come lui stesso riferirà, riceve una strana telefonata da un anonimo funzionario che lo avverte di un’imminente estradizione e cerca di estorcergli del denaro. Lo Porto fugge quindi in Olanda dove viene però imprigionato e giudicato dal tribunale di Middelburg. Ma la sentenza gli è favorevole, dichiarando infatti l’estradizione inammissibile per mancanza di prove. Rilasciato, Lo Porto rientra in Italia pensando finalmente di essere in salvo, ma la tranquillità dura poco: trascorsi due anni ecco il nuovo ed ultimo arresto. La medesima richiesta di estradizione, mai notificata, viene accettata malgrado una precedente richiesta di asilo. Lo Porto viene estradato come cittadino americano anche se da anni ha riottenuto la cittadinanza italiana. C’è chi dice che la taglia di 5000 $ sulla sua testa fosse un motivo sufficiente per trovarlo in fretta. A niente vale una successiva sentenza del Tar che annulla qualsiasi provvedimento. Lo Porto è richiuso in un carcere nella contea di Baldwin, in Alabama. Mentre l’associazione internazionale delle vittime giudiziarie si batte fin ora senza successo per il suo ritorno in Italia.