La tregua che ha lanciato il premier al Pd e al M5S sul Mes (“Non ha senso discuterne ora, aspettiamo di valutare alla fine della trattativa”) come corollario aveva l’evitare la conta in aula. Ecco perché, il 21 in Parlamento, Giuseppe Conte terrà sul Consiglio europeo – che il 23 aprile è chiamato a discutere gli strumenti per fronteggiare l’emergenza coronavirus – un’informativa. Che, diversamente dalle “comunicazioni”, non richiede un voto. Un escamotage possibile perché la prossima riunione dei leader Ue ha natura differente dalle altre. Matteo Salvini e Giorgia Meloni, spiega Anna Macina del M5S, dovrebbero sapere che “in una riunione informale del consiglio Ue non vengono prese decisioni e quindi non è preceduta da una votazione del Parlamento”.
Il leader del Carroccio e il numero uno di FdI invero non si danno pace e, secondo Iv, minacciano come ritorsione di non votare lo scostamento di bilancio per il quale è richiesta la maggioranza assoluta (161 sì al Senato, 316 alla Camera). “Le informative si fanno a scuola. Noi vorremmo fare quello che fanno tutti i parlamenti, cioè votare”, afferma Salvini. E se l’alleata Meloni a suo tempo aveva dato del “criminale” al premier, l’ex ministro gli dà del “fuorilegge” e scomoda ancora una volta il Colle: “Mi aspetto che qualcuno ai piani alti faccia rispettare la legge”. Dalla battaglia anti-Mes del centrodestra si è sfilato Silvio Berlusconi che ritiene si debbano utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per arginare l’emergenza.
“E’ stato mal consigliato, lo chiamerò. Penso sia un errore accodarsi supinamente alle dichiarazioni di Prodi e Zingaretti”, promette Salvini. Sebbene anche gli azzurri volessero martedì prossimo votare: “Conte sta fuggendo dal Parlamento e dalle sue responsabilità”, dichiara Anna Maria Bernini. La decisione del premier di posporre il voto delle Camere a trattativa conclusa appare giustificata, infine, dalla semplice constatazione che non si capisce su cosa ora dovrebbero esprimersi deputati e senatori dal momento che non è stato ancora definito alcunché né sul Mes né sugli eurobond. Ma anche certamente dalla volontà di non far emergere prima tensioni che potrebbero indebolire l’Italia al tavolo Ue.
Se dem e Iv, più o meno, condividono l’idea che sarebbe sbagliato rifiutare i fondi Mes, meno compatta è la posizione del M5S. I pentastellati sono divisi tra chi, non immune dalle sirene sovraniste, vede come fumo negli occhi il fondo salva stati, chi, come extrema ratio, è pronto a farvi ricorso per salvare la sanità e chi è pronto ad appoggiare qualsiasi decisione prenderà Conte. Il ministro pentastellato Stefano Patuanelli ieri ha detto che il “no al Mes è definitivo” facendo riferimento a “quello che conosciamo” che “impone delle condizionalità pericolose”. Ma ha aggiunto: “Aspettiamo cosa uscirà dal Consiglio europeo”. La stessa posizione del premier è molto più complessa rispetto a quella strumentale raccontata da Salvini: “Conte ha detto: ‘Non useremo mai il Mes, è inadeguato’. Io non ho cambiato idea. Spero nemmeno lui”.
In realtà il premier ha spiegato, nella conferenza del primo aprile, la sua posizione con chiarezza. Il Mes è uno strumento inadeguato per far fronte a questa emergenza, servono risorse ingenti alimentate con titoli comuni, come gli eurobond. Però se il fondo venisse “snaturato” e posto in un ampio pacchetto di misure, “con l’assegnazione dei soldi a tutti i paesi senza condizionalità preventive o successive”, potrebbe essere considerato “uno tra gli strumenti possibili”. Insomma sarà determinate verificare se verranno poste condizioni “vessatorie” e se i paesi che non appoggiano il fronte nordico saranno interessati. Alla fine Conte potrebbe dare il via libera. Ma da buon avvocato prima dovrà studiare clausole e condizioni del contratto.