di Sergio Patti
L’errore è stato fidarsi di quei nomi altisonanti. Luigi Abete (nella foto), presidente della Banca Nazionale del Lavoro, ex presidente della Confindustria e ospite fisso di tanti programmi tv che pretendono di spiegare perché l’Italia non funziona chiedendo le ricette proprio a quei signori che ci hanno portato nello stato in cui siamo. Diego Della Valle, imprenditore di indiscusso successo, grande fustigatore del Berlusconi degli anni d’oro ma guarda caso anche lui con ambizioni politiche, per non parlare degli interessi nel pallone. E a proposito di pallone, nello stesso gruppetto c’è anche il produttore cinematografico e presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, oltre alla nota famiglia di immobiliaristi Haggiag, anche questa con un passato glorioso nel mondo della grande celluloide americana. Con azionisti così, il parco Cinecittà World, sembrava un investimento sicuro e solo pochi anni fa le imprese di costruzione fecero a gara per aggiudicarsi la realizzazione delle opere. Ne venne fuori una struttura grandiosa, della quale questo giornale si era già occupato pochi giorni prima dell’inaugurazione evidenziando la stranezza di una struttura di intrattenimento privata, con alle spalle Abete, che nasceva a metà strada tra due strutture pubbliche in difficoltà, entrambe guarda caso con alle spalle lo stesso Abete: gli storici studi cinematografici di cui il presidente Bnl è presidente e il Luneur, di cui sempre Abete aveva vinto la gara del Comune di Roma per rilanciarlo. Gara dopo la quale il luna park rimase chiuso per anni.
FIDUCIA MAL RIPOSTA – Quando ci fu da costruire il Cinecittà Word, un parco a tema ispirato ai grandi set cinematografici, un gruppo di costruzioni storico, la Icun (Italiana Costruzioni Ulisse Navarra Spa) con quasi 120 anni di lavori alle spalle, mise su il cantiere e fino all’apertura della struttura incassò regolarmente quanto dovuto. Un pool di banche aveva finanziato la Italian Entertainement Group, che con un presidente di banca tra gli azionisti evidentemente forniva tutte le necessarie garanzie. La storia del parco però non è di grande successo. E c’era un po’ da prevederlo, visto che proprio mentre si tagliavano i nastri di partenza il ben più famosa Disneyland di Parigi doveva essere ricapitalizzata con un miliardo di euro.
LE RAGIONI DEL FIASCO – C’è chi dice che non è stato pubblicizzato bene, chi invece che i prezzi dei biglietti erano fuori mercato e comunque troppo onerosi per le famiglie in questi tempi di bassa crescita economica, fatto sta che il parco non centra gli obiettivi reddituali previsti e a quel punto inizia a non pagare più l’impresa che l’ha costruito. Ne nasce un contenzioso, svelato dal Fatto Quotidiano il 7 novembre dell’anno scorso, con un articolo nel quale si rivelava che il Tribunale civile di Roma aveva pignorato tutta l’area che ospita il parco. Un provvedimento che arrivava dopo una lunga protesta della Icun e delle altre numerose piccole imprese subappaltatrici che avevano edificato i 150 ettari dell’area e fornito le attrazioni scenografie, firmate anche dal premio oscar Dante Ferretti, oltre ai bar, i ristoranti e tutte le infrastrutture. All’articolo del Fatto seguì subito dopo un incredibile pezzo del Messaggero, che raccogliendo la versione del parco di Abete & soci senza evidentemente fare alcuna verifica, raccontò che non c’era stato nessun pignoramento. Davvero una strana notizia, soprattutto se si considera che a darla era un giornale a cui non dovrebbe sfuggire nulla di quello che accade a Roma nel settore delle costruzioni. Compreso, magari, il grido disperato dei lavoratori licenziati e delle ditte portate verso il fallimento, con striscioni appesi ovunque e i malcapitati che gridavano “ladri” ai proprietari della struttura.
GLI ATTI DEI GIUDICI – E dire che se proprio non si volevano ascoltare le ragioni delle imprese non pagate e non si voleva credere neppure ai lavoratori, bastava mandare un cronista in tribunale per accertarsi della verità. E qui non sarebbe stato difficile avere copia del decreto ingiuntivo n.72925 del 2014, giudice Pietro Persico, che intimava alla società Cinecittà Parchi Spa di pagare alla Icun la somma di 1.215.386,92, del decreto ingiuntivo n. 7968 del 2015, giudice Nicola Saracino, che ordinava di pagare 5.544.136,87 euro e del decreto ingiuntivo n.76707 del 2015, giudice Francesco Frettoni, che ordinava il pagamento di 10.506.109,90 euro. Somme che peraltro sono solo una parte di quanto rivendicato dalla sola Icun, pari a circa 24 milioni di opere e altri 9 milioni di varianti.
IL CONTENZIOSO – Contro tutti questi decreti, che per essere stati emessi dai rispettivi giudici dovevano avere più che serie motivazioni, Cinecittà World ha opposto ricorso adducendo vizi nelle costruzioni e altre motivazioni che potrebbero essere fatte valere nelle sedi opportune dopo il saldo di quanto dovuto. La realtà però è che la società del parco non ha mai pagato, e mentre Abete e Della Valle vanno in tv a parlare di un’Italia migliore, con il loro parco mandano sul lastrico imprese e decine di persone. Nel silenzio dei grandi giornali.