Ore 5,48. A Cagliari sta cominciando ad albeggiare. Sembra l’alba di un giorno come tanti, quello tra giovedì e venerdì scorso. Ma non è così: nei pressi del porto sardo c’è grande movimento. La zona è circondata “da pattugliamenti costanti di Polizia e guardia di finanza”, denuncia Mauro Pili, parlamentare di Unidos, che sulla sua pagina Facebook ha pubblicato anche un video con le immagine esclusive di cosa è accaduto in quelle ore, nel silenzio generale di istituzioni e forze dell’ordine. Ad aver attraccato al porto sardo è una nave battenta bandiera dell’Arabia Saudita. Parliamo della gigante dei mari, la Bahari Tabuk, che ha solcato mezzo mondo per arrivare sino a Cagliari. E perché mai? Dato che, dice ancora Pili, “i codici sono secretati nel porto terminal. Nessuno deve sapere perchè una nave battente bandiera dell’Arabia Saudita ha lanciato le cime sulla sponda principale del terminal sardo. Perchè lo ha fatto alle 5,48 nonostante da almeno 14 ore fosse in rada, a non meno di 40 km dall’approdo prestabilito”. La risposta è solo una: quella nave sarebbe venuta a caricare tremila ordigni prodotti dalla Rwm tedesca in agro di Domusnovas, in provincia di Cagliari, “un carico da 18 container issati a bordo con la supervisione di tecnici, vigilanza e vigili del fuoco”, chiosa ancora Pili.
Norme violate – Insomma, l’Italia continua a vendere bombe all’Arabia Saudita, bombe che, come denunciato dal nostro giornale e come documentato da mesi ormai dalle associazioni pacifiste a iniziare dalla Rete per il Disarmo, vengono poi lanciate in Yemen, in una guerra che sta falcidiando una popolazione intera, tanto che il conflitto è stata condannato anche dall’Onu. Nonostante questo, però, l’Italia continua imperterrita a vendere e commerciare in armi con i Sauditi. Nonostante quanto prescritto dalla legge che regolamenta il mercato d’armi (la n. 185 del 1990) secondo cui “l’esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato” in contrasto con le direttive Onu. Per l’appunto.
Export infinito – Nulla di nuovo, insomma. Anzi, negli ultimi mesi sia il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, sia l’ex ministro degli Esteri e attuale premier Paolo Gentiloni hanno incontrato i massimi rappresentati del Governo di Riad, legittimando così di fatto il traffico di armi. Anzi, lo stesso Gentiloni il 26 ottobre scorso, in risposta a un question time, ha di fatto riconosciuto che il commercio di armi è “regolare”. “Affermazioni gravi”, le definisce a La Notizia Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa. “Secondo l’ex ministro gli unici divieti che la legge imporrebbe sarebbero l’embargo e le sanzioni decise a livello internazionale. La nostra legge, invece, sancisce che le esportazioni di armamenti sono vietate anche verso i paesi in stato di conflitto armato e verso paesi la cui politica contrasta con i principi dell’articolo 11 della Costituzione. Le dichiarazioni del Ministro sono state di tono pilatesco quando ha evidenziato che altri paesi europei negli anni scorsi avrebbero venduto all’Arabia Saudita molti più armamenti rispetto all’Italia”. Senza dimenticare che Gentiloni, continua Beretta, “ha volutamente omesso di menzionare la Risoluzione votata ad ampia maggioranza dal Parlamento europeo lo scorso febbraio che chiede di sospendere l’invio di armamenti ai sauditi in considerazione delle gravi violazioni del diritto umanitario causate dai bombardamenti indiscriminati in Yemen”.
Soldi sporchi e poca trasparenza – Vedremo cosa accadrà dato che sul commercio militare con l’Arabia Saudita sono aperte due inchieste, una a Brescia e una proprio a Cagliari. Per ora restano i dati della Farnesina. Già, perché – particolare non da poco – è il ministero degli Esteri che, sentito il parere di altri ministeri (a cominciare ovviamente dalla Difesa), autorizza le aziende italiane all’esportazione di materiale militare. L’anno scorso il valore globale delle licenze di esportazione concesse dal Ministero degli Esteri ha raggiunto gli 8.247.087.068 euro rispetto ai 2.884.007.752 del 2014. Triplicate, insomma. E l’export è diretto, guarda caso, anche verso Arabia Saudita (esportazioni passati da 163 a 258 milioni), Emirati arabi (304 milioni), entrambi impegnati nella sanguinosa guerra yemenita. Ma d’altronde non è l’unico caso. “Se escludiamo i programmi intergovernativi – osserva ancora Beretta – quasi il 60% degli armamenti esportati nel 2015 è stato diretto a paesi al di fuori dei tradizionali alleati (Nato e Unione europea) e nello specifico in zone di conflitto (Medio Oriente e Sub-continente indiano), a regimi assolutistici (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Bahrein, ecc.) e autoritari che palesemente violano i diritti umani (Egitto, Pakistan, Turchia, India e Cina). In questo l’esportazione di armamenti, invece che contribuire alla difesa e alla sicurezza, finisce con l’alimentare i conflitti e l’instabilità di ampie regioni”. Com’è stato dimostrato.
“A tutti i governi abbiamo sempre chiesto due cose – continua Beretta – applicazione rigorosa dei divieti previsti dalla legge 185/90 e massima trasparenza. Al contrario di quanto accaduto negli ultimi anni, tanto che “oggi è ormai impossibile conoscere dalla Relazione governativa quanti e quali specifici sistemi militari sono esportati nei vari paesi”. Ecco perché “al prossimo governo chiederemo di ripristinare rigore e trasparenza e di non sottrarsi al confronto con le associazioni – come la Rete Italiana per il Disarmo – che sono attente al controllo dell’export di armamenti”. Staremo a vedere se Gentiloni premier farà meglio di Gentiloni ministro.
Tw: @CarmineGazzanni