Di Lapo Mazzei
Doveva essere la giornata del grande balzo in avanti, votazioni al Senato per le riforme e direzione Nazionale del Pd, invece si è trasformata nel giovedì del grande boh. Perché al di là delle solite frasi ad effetto confezionate per l’occasione dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, da quelle sulla legge elettorale – “I correttivi all’Italicum si possono fare ma lavorando insieme ai contraenti del Patto” – agli spot anti crisi – “Se la crescita non arriva vuol dire che dobbiamo lavorare di più e meglio”- la sostanza resta sospesa in una nuvola di fumo. Creata dal voto segreto che ha mandato sotto il governo su un emendamento non proprio secondario, dato che il nuovo Senato avrà competenze sui temi della famiglia e del matrimonio, su quelli della salute e su quelli etici (come bio-testamento e diritti civili) e alimentata dallo spettro dei 101 (affossatori) di Romano Prodi. Perché nel segreto dell’urna gli stessi franchi tiratori che impallinarono l’ex presidente del Consiglio nella corsa per il Quirinale sono tornati a battere un colpo. E che colpo.
I franchi tiratori fanno paura
L’incidente tanto temuto, infatti, alla fine è arrivato. Su un emendamento presentato dal senatore della Lega (la vera opposizione) Stefano Candiani la maggioranza è stata battuta con 154 voti favorevoli, 147 contrari e 2 astenuti. I franchi tiratori si sono manifestati con lo scrutinio segreto concesso dal presidente del Senato, Pietro Grasso, e contestato dal capogruppo del Pd, Luigi Zanda. Evidentemente il senatore dem sapeva quale fosse il pericolo. Il governo, con il ministro Boschi, aveva dato parere contrario, mentre i due relatori si erano divisi: favorevole il leghista Calderoli, contraria la piddina Anna Finocchiaro. Bocciato, invece, un altro emendamento del senatore leghista Candiani (questa volto con voto palese) che prevedeva una riduzione del numero dei deputati. Al centro delle polemiche è finito il presidente Grasso, prima contestato dal capogruppo del Pd per aver concesso il voto segreto sul primo emendamento Candiani, poi dalle opposizioni per non aver concesso il voto segreto sulla proposta di riduzione del numero dei deputati. Grasso, a quel punto, ha replicato in Aula: “Ho rispettato sia nelle forme sia nella sostanza le regole”, ha spiegato la seconda carica dello Stato, “senza accettare che queste regole venissero di volta in volta piegate da qualsivoglia interesse di parte”. Le parole del presidente del Senato non sono bastate a placare le proteste delle opposizioni, che hanno chiesto la ripetizione del voto. Al coro “libertà, libertà”, intonato dai senatori leghisti, Grasso ha sospeso la seduta per qualche minuto, e successivamente ha convocato la conferenza dei capogruppo. Ma neanche questo ha rasserenato il clima.
Un giorno da dimenticare
La giornata negativa del governo è proseguita in Commissione giustizia al Senato, dove l’esecutivo è andato sotto su un emendamento di Forza Italia al decreto carceri. La modifica è passata grazie ai voti di Ncd e Scelta Civica. Il testo, se l’Aula confermerà la modifica, dovrà tornare in terza lettura alla Camera. I senatori dem, nonostante il caos hanno assicurato che “La norma non è un caposaldo della riforma, sarà cambiata nelle successive letture”. Ma nel partito è polemica. Per il sottosegretario alle Riforme Ivan Scalfarotto “la norma votata dal Senato non intacca la riforma, ma crea danno alle battaglie per i diritti civili, costrette al pantano bicameralista”. Dalla direzione del Pd è arrivato il commento del premier, che ha definito il voto di ieri certamente “negativo”, ma non un “remake dei 101” ( e ha annunciato che alla Camera si valuterà se correggere di nuovo la riforma del Senato o no. Minimizza dunque, però c’è un però: tattica e furbizia? Poco dopo, infatti, ha aggiunto che i franchi tiratori “lasciano l’amaro in bocca, perché non hanno avuto coraggio, rifugiandosi nel voto segreto: noi il dissenso l’abbiamo valorizzato nelle assemblee, in sede di dibattito, alla luce del sole”. E allora che significa? Che esiste una doppia morale fra i senatori del Pd? Renzi, poi, ha chiesto mandato all’assemblea per modificare l’Italicum: obiettivo introdurre le preferenze e alzare la soglia per il premio di maggioranza. Naturalmente sempre e comunque con l’accordo di Silvio Berlusconi, restando ancorato al Patto del Nazareno.