Tra politici che se ne fregano del bene comune e funzionari comunali collusi, con interi territori privi di strumenti di pianificazione e le casse degli enti in profondo rosso, i clan hanno gioco facile a stringere i loro tentacoli, condizionando le pubbliche amministrazioni, facendo ricchi affari e lasciando i cittadini privi di servizi e costretti a pagare il massimo delle tasse per far fronte ai troppi debiti. Sono queste le situazioni in cui più facilmente le mafie arrivano a dettare legge, trasformando i consiglieri comunali, gli assessori e i sindaci in teste di legno utili soltanto alla crescita del business del crimine organizzato. Convinzioni che il ministro dell’interno, Luciana Lamorgese, ha maturato esaminando le relazioni delle 65 commissioni straordinarie che nel 2019 hanno amministrato 63 Comuni e due Aziende sanitarie sciolti per mafia. Un’analisi diventata oggetto di una relazione inviata alla Camera dei deputati.
IL QUADRO. Lo scorso anno una popolazione di oltre 900mila persone, quasi interamente concentrata nel Sud Italia, si è trovata amministrata dai commissari, a causa di “contiguità compiacenti o soggiacenti” da parte della politica locale con le consorterie mafiose. Tutti enti concentrati in Campania, Calabria, Sicilia, Puglia e Basilicata, con la sola eccezione del Comune di Lavagna, in provincia di Genova. I clan non hanno più voglia di sparare. Spargere sangue crea loro solo problemi. La mafia del terzo millennio è quella degli affari, che si insinua nelle pubbliche amministrazioni, con l’obiettivo di condizionare i “processi decisionali pubblici” e inquinare così l’economia legale, oltre che di controllare del territorio. Infiltrazioni concentrate in particolare “nel settore degli appalti di opere pubbliche – precisa il ministro dell’interno – su cui convergono maggiormente gli interessi economici della criminalità organizzata”.
Le commissioni si sono trovate così a doversi rimboccare le maniche per cercare di ripristinare nei vari enti la legalità, partendo da una riorganizzazione degli uffici. “Le diffuse illegalità amministrative riscontrate – sostiene la Lamorgese – certamente ascrivibili alle condotte di funzionari e dirigenti locali, mettono comunque in luce l’omissione, da parte degli amministratori locali, della doverosa funzione di indirizzo e di controllo che a loro compete e che ove non esercitata lascia aperte ai sodalizi mafiosi nuove possibilità di operare e trarre profitti”. Più chiaramente? “Vengono rilevate una diffusa trascuratezza nella difesa dell’interesse pubblico e la mancata attivazione di misure per il ripristino della legalità che, a parte le responsabilità del personale, chiamano in causa le responsabilità “istituzionali” degli organi politici”.
LA BONIFICA. I commissari hanno preso iniziative gestionali volte al miglioramento delle condizioni finanziarie dei Comuni, dei servizi offerti, dei rapporti con la cittadinanza, disponendo anche interventi in materia di opere pubbliche, nel settore edilizio e per l’utilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata. E hanno scoperto che gli enti maggiormente permeabili alle mafie sono quelli con più difficoltà economiche. “L’analisi dei provvedimenti di scioglimento adottati nel 2019 – evidenzia infatti il ministro dell’interno – pone in evidenza che il 28,6% dei Comuni sciolti per infiltrazione/condizionamento di tipo mafioso versa in condizioni di deficit finanziario”.