La Camera esaminerà la nazionalizzazione della Banca d’Italia. La prossima settimana la Conferenza dei Capigruppo di Montecitorio dovrà esprimersi sulla richiesta di calendarizzazione, avanzata da Fratelli d’Italia, della proposta di legge firmata da Giorgia Meloni per attribuire al ministero dell’Economia la proprietà dell’intero capitale dell’Istituto guidato da Ignazio Visco. La norma prevede che il dipartimento del Tesoro acquisti dagli attuali azionisti della Banca d’Italia tutte le 300 mila azioni in loro possesso al valore nominale. I primi 5 azionisti di Via Nazionale sono Intesa San Paolo con 46.716 azioni, Unicredit con 38.704, la Cassa di Risparmio di Bologna con 18.602, Generali Italia con 13.029 e Banca Carige con 12.093 azioni.
Seguono altri 118 soggetti tra banche e enti di previdenza, che grazie a una legge approvata dal Governo Letta hanno potuto iscrivere nei loro bilanci le azioni di Banca d’Italia per un valore complessivo pari a 7,5 miliardi, in virtù di una valorizzazione di 25 mila euro per ogni titolo detenuto. La legge voluta da Letta fu una rivoluzione copernicana per il mondo creditizio, visto che fino ad allora le azioni della Banca d’Italia possedute dagli altri istituti di credito avevano un valore nominale di 1000 lire. Poi con la rivalutazione di Letta il loro valore è schizzato e ha consentito una rivalutazione incontestabile dello stato patrimoniale delle banche.
Ed è proprio questa differenza di valore che preoccupa il mondo del credito, in particolare i piccoli istituti di credito. Guido Crosetto, uno dei parlamentari di Fratelli d’Italia che ha scritto la norma, spiega che la loro proposta, prevede che il Tesoro riacquisti le azioni al vecchio valore nominale (l’equivalente in euro di 1000 lire) da coloro che le hanno sempre tenute in portafoglio senza mai venderle, mentre le paghi 25.000 euro (il nuovo valore nominale) dai soggetti che le hanno comprate dopo la rivalutazione. “In questo modo – dice Crosetto – nessuno perde una lira”.
Il problema però si porrebbe a livello contabile per quegli Istituti che hanno rivalutato queste azioni senza venderle, visto che dovrebbero cederle al Tesoro per 1000 lire. Basti pensare che la sola Banca Carige, che deteneva 11.869 azioni quando avevano un valore nominale di 1000 lire (benché esposte con un fair value molto più alto), ora che ne ha 12.093 le mette in bilancio per 302 milioni di euro. Il passaggio delle azioni di Via Nazionale, dalle Banche al Tesoro, avrebbe però anche un effetto indiretto sulla governance della Banca d’Italia, dal momento che cambiando gli azionisti cambierebbero anche i soggetti chiamati a votare sulle decisioni che riguardano la composizione degli organi della banca. Determinando una sorta di assoggettamento della Banca d’Italia al ministero delle Economia che ne diventerebbe in nuovo azionista. Quindi con una legge di poche righe si potrebbe rivoluzionare il mondo del credito italiano sia dal punto di vista contabile che da quello di nomina dei vertici della baca centrale italiana.
Adesso bisogna vedere se l’assemblea dei capigruppo della Camera deciderà di iniziare ad esaminare questa proposta di legge, il capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio, Francesco Lollobrigida, spiega “ci aspettiamo che chi ha declamato il sostegno a questa ipotesi sia coerente e voti la nostra proposta o si presenti con qualcosa di analogo” con un chiaro riferimento alla proposta presentata nella scorsa legislatura dal deputato del Movimento 5 Stelle, Alessio Villarosa che oggi siede al ministero dell’Economia con il ruolo di sottosegretario. Insieme a lui la proposta fu sottoscritta da Carla Ruocco, oggi presidente della commissione Finanze della Camera, da Carlo Sibilia attuale sottosegretario al Ministero dell’Interno e da Daniele Pesco, che adesso ricopre il ruolo di presidente della Commissione Bilancio del Senato.
Intanto ieri la Banca d’Italia ha reso noto che il debito pubblico italiano, nel 2018 è aumentato. L’Istituto guidato da Visco ha comunicato che al 31 dicembre del 2018 il debito delle amministrazioni pubbliche era pari a 2.316,7 miliardi a fronte dei 2.263,5 miliardi del 2017 (131,2 per cento del Pil). L’aumento del debito nel 2018 per 53,2 miliardi, ha spiegato la Banca d’Italia, ha riflesso il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche che si è attestato a quota 40,6 miliardi e il lieve incremento delle disponibilità liquide del Tesoro per 5,8 miliardi.