di Marco Castoro
Tanto rumore per nulla. Scommettiamo un caffè che i tagli degli stipendi di dirigenti e giornalisti Rai finiranno in una bolla di sapone? Ma come, si dirà, il cda ha dato il suo ok alla decurtazione dei compensi (sopra i 240 mila euro lordi annui, fissati dal governo come tetto per i manager pubblici). Tuttavia, eccezione fatta per il presidente Anna Maria Tarantola, che percepisce 366 mila euro lordi annuali, e che dovrà scendere a 240 mila, tutti gli altri dirigenti e giornalisti di Viale Mazzini e Saxa Rubra potrebbero salvare lo stipendio. Perché? Per alcuni motivi di fondo. Intanto la Rai è la società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico in Italia, ma non appartiene interamente allo Stato. Il Tesoro detiene il 99%, mentre la Siae il restante 1%. E questo cavillo potrebbe creare il caso. Ma passiamo ai dirigenti e giornalisti. Quest’ultimi per lavorare nella pubblica amministrazione hanno bisogno di appositi decreti, perché l’ente di previdenza è l’Inps, e non l’Inpgi, la cassa dei giornalisti. Quindi non è da escludere che direttori come Mario Orfeo e Mauro Mazza, tanto per fare i primi due nomi che saltano in mente, potrebbero impugnare il provvedimento del taglio dello stipendio, non avendo nulla a che fare con l’Inps. Tra l’altro la Rai contribuisce come nessun altro alle entrate dell’ente previdenziale (il 30% con i 1800 giornalisti di Saxa Rubra).
Per non parlare dei dirigenti e dello stesso direttore generale. Il decreto del governo Renzi parla di tagli agli stipendi dei manager. Quindi presidente e amministratore delegato. Luigi Gubitosi è un diggì, è il primo dipendente dell’azienda, non un manager. E anche su questo ci sarebbe da discutere.
Non c’è nemmeno il tentativo di sforbiciare gli ingaggi di conduttori e personaggi dello spettacolo. Esistono le regole del mercato. Se non paghi la cifra scritta sul contratto di Carlo Conti, il conduttore dagli ascolti d’oro prende armi e bagagli e se ne va a Mediaset o a Sky.
Manovra cautelativa del cda
Alla luce di un parere dell’ufficio legale Rai, che solleva dubbi sull’applicabilità della normativa, il cda di Viale Mazzini ha deciso di intervenire sui compensi dei dirigenti, utilizzando la formula dell’autoriduzione dello stipendio. Un taglio attuato in via cautelativa, in attesa di ulteriori approfondimenti e della conversione in legge del decreto Irpef che contiene la misura. Se tagli ci saranno si dovrà cominciare da Gubitosi che percepisce 660 mila euro lordi all’anno. In totale sono 44 i dirigenti che vanno oltre il tetto dei 240 mila.
Nomi eccellenti
Interessati, tra gli altri, l’ex dg Lorenza Lei, ora presidente di Rai Pubblicità, il vice dg Antonio Marano, il direttore del Tg1 Mario Orfeo, il direttore di RaiSport Mauro Mazza, quello di Rai1 Giancarlo Leone. I legali sono già al lavoro per i ricorsi. Da quale periodo è attuabile il decreto? Prima o dopo il varo del tetto? I giornalisti sostengono di avere un rapporto di diritto privato. In Rai i dirigenti sono circa 300: di questi tre (incluso il dg) guadagnano sopra i 500mila euro, uno tra i 400 e i 500mila, quattro tra i 300 e i 400mila, trentaquattro tra i 200 e i 300mila. Tra i 322 giornalisti dirigenti, uno (l’ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini, ora senatore in aspettativa) riceve una busta paga sopra i 500mila euro, tre tra i 400 e i 500mila, tre tra i 300 e i 400mila, ventiquattro tra i 200 e i 300mila euro. Con l’adeguamento dei contratti al tetto il risparmio è stimato tra i 3,5 e i 4 milioni di euro.
I 150 milioni
Renzi ha parlato chiaro: anche la Rai si dovrà adeguare ai tagli dei 150 milioni. Per i quali, a meno di clamorosi colpi di scena, la Rai non avrà in cassa dallo Stato.
Il cda ha rimandato la discussione sul possibile ricorso contro il taglio inserito nel decreto Irpef al vaglio della Commissione Bilancio del Senato. I partiti hanno accolto gli appelli dell’Usigrai, il sindacato giornalisti Rai e del popolo di Viale Mazzini.
Complessivamente sono stati presentati una cinquantina di emendamenti, alcuni bipartisan. La richiesta di sopprimere tutto l’articolo del decreto Irpef arriva da Pd, Lega, Fi e M5S. Il Pd ha fatto la richiesta di sostituire il taglio con il 50% delle somme recuperate dalla lotta all’evasione del canone.