di Stefano Sansonetti
L’operazione, favorita da una norma inserita nell’ultima Manovra, è piena zeppa di incognite. Nessuno lo dice, ma è sufficiente mettere a fuoco il passo indietro della Cassa Depositi e Prestiti per rendersi conto dei rischi. Per capire cosa bolle in pentola bisogna concentrarsi su un’altra società partecipata dal Tesoro, Invitalia, che ormai non passa anno senza allargare a dismisura il suo perimetro d’azione. Il tutto sotto la regia di Domenico Arcuri, il manager pubblico che ormai vanta il primato di aver resistito a tutte le tempeste politico-governative degli ultimi 10 anni, in cui è rimasto sempre in sella. L’ultima attività incamerata da Invitalia, che già si occupa di finanziamenti alle imprese, attività bancaria, bonifica di siti industriali, banda larga (e chi più ne ha più ne metta), è l’assicurazione dei crediti all’export nei “paesi ad alto rischio”. Il che, volendo semplificare le cose, significa garantire il business delle imprese italiane in Iran. E’ proprio questa la novità prevista in Manovra.
L’incognita – Ma qui sorge una domandina semplice semplice: perché il Governo inzeppa di altre attività la società guidata da Arcuri se esiste già una società statale che si occupa di garantire i crediti alle esportazioni e si chiama Sace? Tanto più che la stessa norma dice che Invitalia, per gestire questa nuova mission (che sotto sotto non è tanto in grado di svolgere) dovrà avvalersi della collaborazione proprio della Sace. Qui i nodi vengono al pettine. La medesima Sace, infatti, è controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, che a sua volta fa capo all’82% al Tesoro. E La Cdp, guidata dal presidente Claudio Costamagna e dall’Ad Fabio Gallia, in questo momento non se la sente per niente di sguinzagliare una sua controllata (Sace) per garantire imprese italiane in Iran. Il motivo sta nel fatto che a Teheran, soprattutto da quando negli Usa si è insediato Donald Trump, la situazione geopolitica si è rifatta complicata. Se con il finire dell’era Obama si era intrapreso un percorso di abbandono delle sanzioni all’Iran, soprattutto in virtù dell’accordo sul nucleare, con Trump le condizioni sono tornate nell’incertezza. Per questo il gruppo Cdp-Sace, nonostante le missioni imprenditoriali riavviate sin dall’epoca del Governo di Matteo Renzi, adesso non intende più utilizzare questi canali con Teheran, che peraltro rischiano di infastidire gli Usa. Tra l’altro c’è chi fa notare che la Cdp non può assumersi questo rischio perché ha troppe partecipazione rilevanti in aziende strategiche (Eni, Poste, Terna, Snam, Italgas, Fincantieri, Saipem). Ma qui allora scatta la seconda domanda: perché il rischio avvertito da Cdp-Sace, controllate dal Tesoro di Pier Carlo Padoan, ha spinto il Governo a trasferire lo stesso rischio in capo a Invitalia, controllata al 100% sempre dal Tesoro?
La spiegazione – Qui una risposta precisa fatica a emergere. Invitalia, contattata da La Notizia, ha fatto sapere che in realtà la Manovra prevede paletti molto precisi per le operazioni che saranno assicurate dalla società nei Paesi a rischio. Il tutto attraverso un nuovo veicolo, che sarà controllato dalla stessa Invitalia. Sullo sfondo, in realtà, ci sono i tanti affari aperti in Iran da aziende importanti come Eni, Danieli, Condotte, Itinera, Fincantieri, Ansaldo e via dicendo. E queste non possono fare a meno del meccanismo dell’export credit: ovvero una società italiana (oggi Sace, domani Invitalia) che garantisca i finanziamenti che le banche erogano ai committenti locali (iraniani) per pagare le opere realizzate delle imprese. Tutto questo, molto presto, potrebbe essere appannaggio di Invitalia, con un mare di incognite sul percorso. Ma forse Arcuri, da 10 anni alla ricerca di una mission precisa per Invitalia, conta di rimanere a galla anche in questa difficile navigazione.